mercoledì 28 novembre 2007

Un gioco

Diari d’immaginario

Quella di raccogliere e circondarsi di immagini è una pratica diffusa tra le giovani adolescenti. Costruiscono delle santerie, dove i miti convivono e i desideri si compiono nella contemplazione di figure, che evidentemente corrispondono ad un’idealità poetica. Mischiando consumi culturali, scelte di stile, ricordi (biglietti – frammenti di vita vissuta) tensioni ed emozioni in un universo fatto di carta realizzano se stesse. Frammenti di immaginario, condensati su muri, su fogli di quaderni, di diario, dichiarano il loro ambito di relazione e di condivisione e insieme danno azione a quella particolare attitudine creativa che nell’assemblaggio di materiali produce opere. Un arte povera che sempre è spessa, densa di lingua.
Una lingua che svela.

L’ispirazione, per questi Diari d’immaginario, viene dai diari scolastici, che molto spesso sono ornati da graffiti, segni, disegni e immagini ritagliate. Un lavoro di composizione che scandisce le ore di scuola accompagnando i pensieri fuori dall’aula.

Storie fatte di sguardi, paesaggi di piccole visioni, che scrutano l’ordinario per costruire percorsi altri, d’immaginario che cuce senso e surrealtà.
Il collage una qualità della scrittura che assume la lingua e la fa di sospensioni, di manovre poetiche che si lasciano agli occhi, attraverso immagini che nascondono universi sensibili.
Tutto si elabora nel segreto della visione per manifestarsi opera e progetto.
Il tentativo dei diari è di sollecitare la costruzione di un’opera capace di sintetizzare di pagina in pagina una visione del mondo, una complessità che si manifesta attraverso, la scelta delle immagini, del segno testuale, nel disegno, con la scelta del colore e dei materiali, nella cucitura e l’incollaggio dei soggetti, tutto interagisce, ogni atto è calibrato in funzione di una espressione capace di interiorizzare lo stimolo che una singola immagine può produrre, per contestualizzarlo nella forma grafica attraverso il collage.
Intimo che si svela in un lavoro di costruzione, un percorso che definisce lo stile e la differenza d’ ognuna, lo oggettiva attraverso la cura e la relazione con la pagina.
Voli di senso dove il quotidiano, il tempo da sottrarre al dolore, al pensiero della malattia, trova strumento di sfogo e di sublimazione, diviene segno comunicante, narrazione, astrazione, incanto di mondo che osa rappresentarsi.

[Un album – auto costruito - è la base di questo lavoro, fatto con un cartoncino di media grammatura, abbastanza forte per accogliere incollaggi, strappi, ciappature…
I materiali di composizione sono: immagini, frammenti di scrittura, strappi, pagine di diario. Riviste, quotidiani, cataloghi, libri, fotografie, lettere, volantini, biglietti… le fonti. Strumenti operativi: forbici, colle, filo per cucire, ciappatrici, spilli… e tutto ciò può essere utile ad assemblare le cose scelte sulle pagine.]

domenica 25 novembre 2007

mi è sembrato di sentire dentro una voce

Elisabetta Liguori

TRILOGIA DEL TEMPO INGIUSTO

I

Sono nata quando tutto l’amore

s’era già prosciugato.

Ho preso treni già partiti

allo sfrecciare dei finestrini e al passo offeso del controllore di turno

che rientrava togliendo il berretto dalla sua calvizie.

Ho amato uomini già morti

palpato i loro romanzi pubblicati millenni prima.

e partorito figli molto più vecchi di me.

Ho gridato - e guerra sia! – quando i coscritti con lo zaino in spalla

già tornavano a casa nei loro anfibi.

Ho cenato freddo a cucine serrate e forni spenti

Ho acceso la tivù in appartamenti abusivi già abbattuti.

Per questo, quando hai composto il mio numero e io ho risposto

Pronto.

Sono io.

Io, chi?

Quello.

mi è sembrato di sentire dentro una voce

gli applausi della sera giusto al calar del sole,

ed ho riso.

II

Adesso mi pare più evidente

d’essere arrivata al nostro primo appuntamento

con un vestito troppo elegante.

Tu avevi sul cappotto avanzi di piume

come avessi tenuto a lungo a bada

un piccione ubriaco.

D’essere inopportuna coi miei tacchi a spillo

l’ho capito appena t’ho visto

nascosto a tratti dalle gente,

ma l’estate m’ha spinto a mentire.

- Non c’è assolutamente nulla che io abbia voglia

di fare –

dicevi.

Ed io ho infilato

le scarpe strette nella tua pozzanghera

a inzaccherarti.

Non avrei dovuto togliere le calze a maggio.

Questo è il punto.

III

Questa notte

sono stata al nostro funerale.

Stavamo in due bare lunghe e nere

messe vicine e verticali.

I fiori sul coperchio erano dello stesso colore della tua giacca da camera.

Un colore liso e molto più morbido di quello che dovrebbe avere una buona giacca.

Ma di quale colore fosse davvero la stoffa di qui petali lo sanno solo

i nostri vecchi giorni.

Stavamo nelle bare e pure tra gli scanni,

nella chiesa con le altre sagome

profumate d’olio.

Stavamo miti come cani da salotto,

vicini sempre,

mentre tu mi dicevi:

cara

ma

che bella cerimonia,

così emotivamente trionfante e vaga!

Tanto è lo spazio che riempivano insieme

e l’abitudine ad amarsi,

che quei due

di certo

non lo hanno capito neppure d’essere così morti.

gli applausi della sera giusto al calar del sole,

ed ho riso.

giovedì 22 novembre 2007

Fare silenzio

Fare silenzio quando il cuore è spento
Fare silenzio quando si parla solo per ferire
Fare silenzio piuttosto che pronunciare menzogne
Fare silenzio per ascoltare meglio se stessi e chi ti sta di fronte
Fare silenzio per sopportare meglio il dolore che ti sta sgretolando
Fare silenzio per non disperdersi nel caos dell'assurdità delle relazioni umane
Fare silenzio per annullare la propria presenza

[da anonimo nei commenti]

Adesso tienimi! di Flavia Piccinni (Fazi)

di L.A,
Flavia Piccinni è una giovane scrittrice tarantina agli esordi. Già Premio Campiello Giovani ha pubblicato il suo primo romanzo: "Adesso tienimi ". Una storia che intreccia vita quotidiana e ricordo. Il ricordo di un amore proibito tra una liceale, appena diciottenne, e il suo insegnante di Fisica. Il sentimento tra i due presto diventa complicità, seduzione, passione, fino al tragico epilogo: il suicidio dell'uomo. Da qui ha inizio il tormento della ragazza, che, abbandonata senza un perché, non si rassegna alla perdita, sino alla fine...
Può una giovane alle soglie della maturità fare "esperienza" della morte?
Non esiste nulla di scontato. Lo sa bene Martina.
Pochi mesi sono sufficienti per abbandonari al tormento di un amore svanito senza un perché. Una trappola, un inganno che uccide la ragione o forse no. Forse solo il desiderio di una passione senza limiti, di un pathos 'cavernicolo' e ancestrale.
E tu sprofondi.
Il tuo è un amore violento, servile, segreto, tutto tuo, pienamente tuo. Scandito da un tempo in perenne attesa, da un ritmo vivo di penosi battiti. Assurdo, incomprensibile per chi non ode il sussurro spietato del dolore.
"Prof, non so dirti addio". Provi di tutto: dalle dita in gola alla lametta. Accidenti! Ti manca il fegato: non devi mica raderti!
Iolanda e Giulia sono le tue più care amiche, troppo amiche per te. Iolanda trova rifugio nell'alcol quando Giulia deve lasciare Taranto.I tuoi genitori,invece,restano aggrappati alla facciata della classe medio borghese: "Martina, ma come ti viene in mente di imbarazzarmi così?... Il padre di quello che odi ci sta facendo "nu' sacc" di piaceri e a te "da mo" ti sta pure simpatico".
Le notti insonne, il silenzio serrato, le lacrime, il fumo, intere giornate incollata su eBay, la remissiva presenza davanti a parenti e amici - allora ce la fai aprendere cento? Signorina hai abbassato la cresta?- Che importa! Meglio chiudersi in camera. I ricordi si affacciano quando meno te lo aspetti. Ti svegli la mattina e sei lì, negli incontri clandestini, nel suo letto, a lezione. Ti porta al poligono: è abile e preciso. Il suo odore in te, su di te, è sigillo di garanzia. Illusa: come può essere tuo? Una figlia è cosa seria. Deve pur raggiungere un varco: quale scelta? Un solo colpo.
Quanti appostamenti sotto casa finiti sempre con una sigaretta fumata appoggiata al muro! Quante promesse frantumate dalle minacce! Quante umiliazioni inflitte come un fiume in piena al solo pensiero di una parola di troppo!
Continuavi a tacere con la testa tra le mani, la disperazione assediava ogni particella del tuo corpo. Vi eravate amati. Ma lei doveva sapere. Tu dovevi sapere. Urli tutto il tuo disprezzo, tutto l'odio che ti stava divorando.
é incinta. Torni nella vostra stanza: ricordi ogni cosa. Quel giorno, prima di suicidarsi, aveva lasciato un biglietto nell'armadietto de poligono per la famiglia.
Ora sai come fare: tagli verticali. "Prof, non so dirti addio".

sabato 17 novembre 2007

mercoledì 14 novembre 2007

Rasserenarsi

Ottobre 2008

Sereno è…
un cielo limpido
Serena è…
una notte piena di stelle
Sereno è
il mare azzurro e calmo
Serena è
una brezza marina

Ma nulla è sereno senza il suo contrario.

Si potrebbe forse apprezzare un cielo sereno
se non avessimo conosciuto le nuvole?

E come si potrebbe ammiccare la tranquillità
del mare se le onde non avessero smosso
quell’immensa distesa d’acqua!

Si può forse rasserenare l’anima mia?

Nuvole, vento, pioggia…
sento da lontano ancora il rombo del tuono.

Brividi percorrono il mio corpo fradicio
e… freddo.

No, non mi volto… non ora
è troppo presto!

Percorrerò impaurita l’arcobaleno
e giunta sull’altra sponda
mi volterò indietro…
quando la tempesta non
potrà più farmi male!
E così ammirare il sereno
davanti ai miei occhi.

(Piera)


Rasserenarsi è…

qualcosa che ti addolcisce l’anima
che ti schiude le labbra
con un soffio delicato
è un canto soave
dopo un frastuono assordante
una perdita assoluta di rabbia e orgoglio.

E’ umiltà
che ti culla il cuore in un battito d’ali,
un angelo che ti sfiora
e ti sussurra amore.

E’ un sentimento che provi
dopo tanta sofferenza
è una preghiera che ti consola.

E’ trovare il modo per stare bene,
riuscire a gioire senza muoversi
e riconoscere la felicità.

(Silvia)


Inspiro-espiro, inspiro-espiro
Il sonno profondo
di bimbo
su un morbido
e caldo
cuscino.

Inspiro-espiro, inspiro-espiro
Fiducia, certezza, sostegno
di braccia sicure
che seguono
ogni tuo passo.

Inspiro-espiro, inspiro-espiro
La forza, la luce
di un padre
che accoglie
rischiara
dirada le nubi
e allenta tensioni.

Inspiro-espiro, inspiro-espiro
mi affido
mi fido
e abbandono nell’unico abbraccio
il mio cuore.

(Evelina)

Fantasma!

Dedicato a…

Meno tre, due, un:din-don!
è scoccata la mezzanotte!
Vieni fuori fantasma
Esci dall'ombra,alza la maschera
Oh sì che ci sei
Inciampo ancora nel tuo gioco
Tu vuoi da me cosa?
Ah,questo mai.
Non più
Disprezzo è il colore dei tuoi occhi

(Marilena)

mercoledì 7 novembre 2007

lunedì 5 novembre 2007

Io parlo all’amore. Lo scortico dall’incrosto


La poesia di Mariangela Gualtieri

di Rossano Astremo da http://www.poiein.it



Come non amare la scrittura di Mariangela Gualtieri, la registrazione rapsodica e, a tratti, delirante, della sua emotività tagliente, del suo flusso emotivo corrosivo, della sua coscienza pura, verginale, volta a cogliere le limpide corrispondenze tra l’essenza dei suoi stati d’animo e il mondo che attorno le si agita.

L’ interesse, poi, si accresce se si considera la destinazione teatrale delle sue costruzioni in versi: gli spettacoli del Teatro della Valdoca, fondato dalla stessa Gualtieri, insieme a Cesare Ronconi, nel 1983, sono frutto dell’agitarsi perpetuo della creatività visionaria e dirompente della scrittrice di Cesena, le costruzioni delle scene e le azioni degli attori acquistano sostanza grazie la parola sorgiva e istintiva della stessa.

è uscito, in questo 2003, per Einaudi, una raccolta di versi , Fuoco Centrale ( e altre poesie per il teatro), curata dalla stessa autrice, dalla quale parto per poter cogliere gli elementi di profonda originalità del suo poetare.

Consideriamo questo testo :

Io parlo all’amore. Lo scortico dall’incrosto

nel sogno e ne faccio musica storta

ne faccio delicato vento che solleva o dondola

e impollina al cuore. Alla scomposta

mente, impollina l’occhio con l’occhio

l’occhio con l’animale e viene il bello

che ci sviva, ci sviva tutti. Di più.

Ciò che emerge, nei versi della Gualtieri, è un totale salto in avanti rispetto ad una concezione della poesia ben ordinata nel suo pacchetto metrico e stilistico e un assoluto lasciarsi andare della parola che diviene strumento profondo di analisi, potente meccanismo terapeutico, straziante e sublime terreno sul quale poter spargere i semi dello stato sorgivo del proprio essere:

Io sono spaccata, io sono nel passato prossimo,

io sono sempre cinque minuti fa,

il mio dire è fallimentare,

io non sono mai tutta, mai tutta, io appartengo

all’essere e non lo so dire, non lo so dire,

io appartengo all’essere, all’essere e non lo so dire

Questa analisi senza veli del proprio Io diviene martellante, ossessiva, a tratti nauseante, ma mai stancante, ponendoci di fronte a partiture in versi che raggiungono livelli di lirismo

indiscutibili:

Io non so se l’amore sia una guerra o una

tregua, non so se l’abbandono d’amore

sia una legge che la vita cuce fino al

ricamo finale. Io non so

che farmene di questi amici che premono,

non so che farmene oggi di questo oggi

e me lo ciondolo fra le dita perplesse,

non so parlare quello che

è sentito nel profondo me, non so parlarlo

quell’essere qui presente fra le vite degli

altri.

o ancora:

Io non so se la solitudine, se quello

strazio chiamato solitudine, se quell’andare

via dei corpi cari, se quel restare soli

dei vivi, io non so se quel lamento della

solitudine, se quel portarci via le facce

se quel loro sparire

di facce che avevamo dentro il respiro, non so

se il dono sia questo portarci via le

carezze, questa stacciatura.

è poco il poco che so e di questo

poco io chiedo perdono. Io chiedo

perdono per quello che so, perdono io chiedo

per tutto quello che so.

Quella della Gualtieri è una poesia volta alla continua ricerca interiore, dove i presupposti di un approccio formale al testo vengono sfibrati e allentati per supportare la sensibile logica di una esasperata profondità dell’essere.

In quest’azione viscerale, che sfocia, poi, nella composizione del testo poetico, la Gualtieri è profondamente vicina ad Amelia Rosselli, poetessa dell’anima in fiamme e del cuore in sangue. Infatti, scrive la poetessa di Cesena: «Per devozione, per troppa passione, ho rubato qualcosa ad Amelia Rosselli, me la sono tenuta in braccio, a volte, mentre scrivevo».

L’oltre, il valore aggiunto della scrittura di Mariangela Gualtieri va ricercato nella resa teatrale dei suoi testi. In questo l’armonia d’intenti con Cesare Ronconi è fondamentale.

È come se l’approccio informale della sua scrittura, l’action writing che la sostiene, trovasse la sua compiutezza nella struttura che la regia di Ronconi riesce a dare, rendendo, di conseguenza, il Teatro della Valdoca una delle compagnie più affascinanti e stimolanti presenti nel nostro Paese.