Elisabetta Liguori
TRILOGIA DEL TEMPO INGIUSTO
I
Sono nata quando tutto l’amore
s’era già prosciugato.
Ho preso treni già partiti
allo sfrecciare dei finestrini e al passo offeso del controllore di turno
che rientrava togliendo il berretto dalla sua calvizie.
Ho amato uomini già morti
palpato i loro romanzi pubblicati millenni prima.
e partorito figli molto più vecchi di me.
Ho gridato - e guerra sia! – quando i coscritti con lo zaino in spalla
già tornavano a casa nei loro anfibi.
Ho cenato freddo a cucine serrate e forni spenti
Ho acceso la tivù in appartamenti abusivi già abbattuti.
Per questo, quando hai composto il mio numero e io ho risposto
Pronto.
Sono io.
Io, chi?
Quello.
mi è sembrato di sentire dentro una voce
gli applausi della sera giusto al calar del sole,
ed ho riso.
II
Adesso mi pare più evidente
d’essere arrivata al nostro primo appuntamento
con un vestito troppo elegante.
Tu avevi sul cappotto avanzi di piume
come avessi tenuto a lungo a bada
un piccione ubriaco.
D’essere inopportuna coi miei tacchi a spillo
l’ho capito appena t’ho visto
nascosto a tratti dalle gente,
ma l’estate m’ha spinto a mentire.
- Non c’è assolutamente nulla che io abbia voglia
di fare –
dicevi.
Ed io ho infilato
le scarpe strette nella tua pozzanghera
a inzaccherarti.
Non avrei dovuto togliere le calze a maggio.
Questo è il punto.
III
Questa notte
sono stata al nostro funerale.
Stavamo in due bare lunghe e nere
messe vicine e verticali.
I fiori sul coperchio erano dello stesso colore della tua giacca da camera.
Un colore liso e molto più morbido di quello che dovrebbe avere una buona giacca.
Ma di quale colore fosse davvero la stoffa di qui petali lo sanno solo
i nostri vecchi giorni.
Stavamo nelle bare e pure tra gli scanni,
nella chiesa con le altre sagome
profumate d’olio.
Stavamo miti come cani da salotto,
vicini sempre,
mentre tu mi dicevi:
cara
ma
che bella cerimonia,
così emotivamente trionfante e vaga!
Tanto è lo spazio che riempivano insieme
e l’abitudine ad amarsi,
che quei due
di certo
non lo hanno capito neppure d’essere così morti.
gli applausi della sera giusto al calar del sole,
ed ho riso.
2 commenti:
Una poesia al giorno, io chiedo,
che dia colore
e non importa quale
se sia il bianco del nulla o il nero
se sia indaco o blu del mare
che sia, però, un colore vero.
"Quando sono nata tutto il mio amore si era già prosciugato..."
giusto il tempo
"...di sentire gli applausi al calar del sole..."
che subito notte mi avvolse.
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