lunedì 28 gennaio 2008

Prendersi cura: la creatività a lavoro!

Dal Centro per la cura e la ricerca sui disturbi del comportamento alimentare
del DSM della Asl di Lecce

di Mauro Marino

Il luogo del nostro operare si qualifica come “Centro per la Cura e la Ricerca sui Disturbi del Comportamento Alimentare”, fondato a Lecce nel 1998 dalla psichiatra Caterina Renna con una equipe di lavoro che al suo interno comprende quattro operatori creativi.
Un centro pubblico, uno dei pochi in Italia, espressione della politica sanitaria della Asl di Lecce.
Anoressia e bulimia, malattie oggi di grande rilevanza sociale. Afflizioni dell’animo capaci di indurre meccanismi di auto annientamento e di sottrazione del soggetto interessato dai contesti sociali e di relazione.
Siamo convinti della necessità di dover integrare competenze differenti nell’elaborazione di strategie e di finalità terapeutiche efficaci nell’affrontare la complessità che tali disturbi manifestano. La costruzione del centro è stato sicuramente un passo importante nella definizione di uno spazio/luogo capace di accogliere la sofferenza, il disagio, la malattia attorno ad un progetto unitario di cura.
Ciò che ci muove è la consapevolezza di dover agire nella direzione di una qualificazione costante della ricerca in atto, cercando di migliorarla lì dove ci sembra necessario un’ulteriore sforzo d’intervento per meglio affrontare le particolarità soggettive ed esistenziali del manifestarsi della malattia.
Siamo consapevoli della “natura culturale” della malattia che il nostro lavoro ci chiede di affrontare, del sottile filo che tiene uniti i processi di cura e di guarigione, di come sia difficoltoso un reinserimento nelle relazioni e nei contesti sociali di chi è stato vittima di queste profonde afflizioni.
In virtù di queste considerazioni abbiamo creduto necessaria l’elaborazione di un progetto capace di immaginare e definire percorsi di integrazione terapeutica altri e nuovi, di creare un movimento culturale che definisca un rapporto di reciproco e costante scambio tra pratiche espressive (scrittura, teatro, danza, decorazione, video arte), conoscenze mediche e scienze umane. Privileggiando quelle discipline, e in contatto con quei maestri, che nella creatività vedono uno strumento necessario a definire un’atmosfera terapeutica che rifondi la relazione con la malattia nella consapevolezza della sua natura.
Un processo di formazione permanente che vede coinvolti medici, psicologi, operatori sanitari e culturali, artisti, pazienti, in un luogo che è incrocio di ricerca, dove non solo la cura, ma soprattutto la prevenzione si fanno motivo di pratiche, di sperimentazioni, di produzione di momenti di confronto e di sensibilizzazione, ma anche di consulenza e di definizione di indirizzi pedagogici ed educativi per quanti sono interessati ad un’operare che ponga al centro la persona, con le sue inquietudini, disagi, necessità.
L’esperienza soggettiva del dolore, della melanconia, dell’assedio delle ossessioni chiede la tessitura di un sistema di relazioni che coinvolgano la soggettività in un processo di socializzazione del proprio “non essere” in un ambito capace di generare coscienza, affetti, emozioni, di individuare attitudini e vocazioni, di valorizzarle facendole divenire leva di cambiamento e di riscatto.
Questo può accadere in un luogo che mutuando l’esperienza fin qui compiuta da day hospital, comunità terapeutiche, case famiglia, laboratori espressivi, centri diurni nella cura del disagio psichico, si ridefinisce, costituendosi come luogo motore di elaborazione culturale, come luogo non cerimoniale o burocratico ma aperto all’integrazione delle esperienze e alla loro valorizzazione. Un centro aperto e residenziale, dove la ricerca creativa trovi dimora e possibilità di incontro e di scambio. Il carattere residenziale del luogo è fondamentale per poter garantire la messa a punto di percorsi intensivi di laboratorio e di formazione, ma soprattutto di cura, garantendo un’attenzione costante nei riguardi dei percorsi di guarigione, individuando momenti di inserimento protetto dei pazienti nella messa in opera e nella gestione dei progetti.
Il manifestarsi del sintomo e la capacità di nominarlo è una opportunità: rifonda la persona nella consapevolezza. Il contatto con la volontà della guarigione, del riscatto apre, sommuove energie profondamente nutrienti per chi vede nel dolore l’opportunità della scoperta della sua lingua.
L’arteterapia è termine abusato, non possiamo considerare un’arte capace di guarire, ma è importate definire il ruolo che l’arte può avere all’interno di un ambito terapeutico.
Uno “stare” che si costruisce intorno all’ impresa della cura, scandito da laboratori, stage, incontri di analisi, approfondimenti tematici. L’arte come motivo ispirativo di costruzione, capace di definire il clima, l’atmosfera terapeutica. Ci troviamo di fronte a malattie che manifestano un disagio culturale forte.
Un disagio spia di mancanze che nei sistemi di socializzazione trovano radice. La famiglia, i coetanei, la scuola, il mondo del lavoro tutti sistemi in crisi e di crisi. Modelli che non rispondono e non corrispondono al disagio, all’accogliere, alla necessità di una costruzione solidale delle relazioni. L’individualità è il valore; il merito, il costo, l’affermarsi, agire il potere.
Questo è il sistema. La moda e il consumo costruiscono la regola, fanno il mercato.
Mai possibilità alla fragile istanza della sofferenza, se non nell’emergenza. Guai, a chi tenta esprime una diversa sensibilità, un diverso disegno per la vita! Omologazione, è la risposta, anche nella malattia che ha nomi e sintomatologie che alle afflizioni dell’animo costruiscono categorie.
L’uomo non si stupisce più, non scopre, sa già tutto, tanto da dimenticare il valore della propria esperienza, tutto è nella delega, nel rimando delle responsabilità per cui la famiglia, guarda alla scuola, questa al mondo del lavoro, quest’altro alla politica, ma nessuno è capace di determinare la svolta che riporti sull’uomo l’attenzione.
E anche il tempo, sembra come preso, stregato da quest’empasse che vortica continue accelerazioni, mai nella pausa, nell’abbandono, nell’ascolto.
C’è un difetto forte nella nostra società, che sempre di più radicalizza tensioni, paure, sentimenti di rinuncia, di sottrazione. Aprire la visione, l’opportunità di considerarsi oltre ogni giudizio, sperimentarsi, osare. Immaginare e realmente sentire, percepire di sé, una definizione nuova che prova lo stupore e l’attenzione, dando oggettivo valore al proprio sentire sensibile che trova il favore della comunicazione, del dono.
C’è come uno stato pigro che conferma il se malato, che ferma l’agire, lo incanta in un andare e venire dei pensieri che si fanno mormorio dell’io.
L’artista si distacca dall’opera per contemplarla, così per la cura, posso fare di me l’oggetto dell’opera.
E questo può accadere all’interno di un luogo che punta ad un accoglimento reale del disagio, inoltre ad ogni pregiudizio o calcolo di valore punta ad una valorizzazione delle energie, ad un loro reale riscatto.
Chiedere alla terapia di farsi opera è fare della cura un’esperienza creativa, un cammino di maturazione, capace di affinare autostima, capacità relazionale, ma anche vocazioni e attitudini; fortificare il paziente nel suo diventare autore di sé, in una acquistata consapevolezza, dentro una possibilità nuova di concepirsi.
La presenza di operatori culturali e di artisti all’interno delle strutture ha permesso la costruzione di un clima che concepisce un’altra cura ma soprattutto un altro modo di stare nel tempo della cura.
E’ la libertà espressiva che bisogna considerare nel suo valore, nella pluralità di stimoli e di sensazioni che questa categoria apre alla conoscenza e al fare. Libertà dell’ascolto di me e delle pulsioni mie intime, che non sfidano il giudizio, ma elaborano coscienza e forma e rappresentazione. Capire la libertà, l’osare dire, e da questo definire le relazioni, lo scambio o il dono o l’incontro. Tutto ha valore e volontà se scortico me dalla paura, se rompo l’accerchiamento dell’ansia, se m’acquieto nella comunicazione. Nella piena oggettivazione di me al Mondo!
Questo è “guarire”, allontanarsi dal disagio! Esserci!

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