La letteratura svela ciò che è nascosto, dice dove c’è il balbettio e il non volere della malattia. Le “scritture” ci aiutano ad indagare “mondi”. Vi entriamo portati da narrazioni sempre più (o è sempre stato così?) tentate da una definizione dell’inquietudine, dell’oscuro, del mistero, della piega dove l’umano si nasconde o trova rifugio. Conosciamo - pur rimanendo spesso candidamente inconsapevoli - la nostra epoca, traversata e travagliata da continue fibrillazioni: è il dolore il parametro per meglio interpretarla, un dolore che prorompe nell’ordinario, nella quotidianità. Quello che l’esterno impone come condizione, recinto esistenziale, vestito dei giorni, con cui fare i conti, confrontarsi per crescere e quello inventato, importato in sé, impiantato, coltivato, accudito come “risorsa” di sottrazione e di annullamento di ogni resistenza. Due libri di Bompiani, di recente pubblicazione ci raccontano due storie per molti versi esemplari per tentare di comprendere l’universo della “crescita”, del venire e del farsi al Mondo, nel e con il dolore. Farsi deboli e fortificarsi, soccombere e resistere nell’agio che genera paura e nel disagio che rende consapevoli quando accolto e affrontato. Dolore, mancanza, orgoglio e sconfitte si intrecciano svelando due Italie, due condizioni, due tracciati di vita.
Uno è Il rimedio perfetto di Lucrezia Lerro.
Nessun commento:
Posta un commento