domenica 30 dicembre 2007
giovedì 13 dicembre 2007
Mi destai un giorno dal torpore
Cero che sì, pubblica pure il mio racconto...senza problemi :)
Ti confesso che ne ho numerosi...oltre a liriche varie. E su "là fuori" intendo costruire una storia più corposa...è un lavoro in progress.
Cmq nel caso tu volessi postare altro secondo modi e tempi tuoi, puoi attingere a www.bloggers.it/Psiche
ecco ti lascio qui un altro racconto...about vera bellezza. Dedicato a tutte quelle bellissime donne, di bellezza sottopelle e cuore, che ancora hanno da scoprire quanto sono uniche...e libere d'essere meravigliosamente imperfette.
Un abbraccio
Irene
Musa
--
Irene Ester Leo
martedì 11 dicembre 2007
Lo scrigno è già vuotato!
Se un ladro entrasse ora
in questa casa
nel buio
troverebbe le tue impronte
sui libri,
la serratura che boccheggia,
i tuoi occhi posati.
Troverebbe nei cassetti la mia forma sottovuoto
lievemente spostata a sinistra,
nell’aria
e sorpresa,
ammonticchiati
i miei cd
con i segni delle tue dita sulla polvere.
Capirebbe così, quel ladro disonorato,
d’essere arrivato tardi.
Ché lo scrigno è già vuotato.
Resterebbe forse un paio di minuti a
dirsi niente
e poi sarebbe lui a chiamare la polizia.
venerdì 7 dicembre 2007
da Anonimo
giusto il tempo
"...di sentire gli applausi al calar del sole..."
che subito notte mi avvolse.
Vorrei parlarti, ma un argomento non c'è
di Irene Leo
Il sapore
Vorrei far mio
il sapore della vita!
Incastonandolo a fondo,
a fuoco,
per non dimenticare.
Ma ogni istante,
bagnato di fugacità
me lo fa scivolare tra le dita,
come seta.
Nego d'ogni momento,
ne intravedo l'essenza passata,
nel presente non v'è modo,
troppo abbagliati gli occhi
da tanto e da tutto.
Troppo persi,
dietro ogni spettacolare,
soave o amaro capriccio.
Presi da ogni altrui
respiro,
da ogni sentimento.
Il gusto m'è sfuggito
forse ieri,
mentre distrattamente
mi muovevo,
come oggi,
languida e titubante
dietro
un altro attimo
dannatamente
vissuto.
Non c'è un argomento
Vorrei parlarti,
ma un argomento non c'è.
Un sovraccarico di pensieri
che si annullano vicendevolmente
affolla la mia mente.
Muta e silenziosa,
mi avvicino,
avanzo nei pressi del cuore,
senza proferire verbo,
senza distogliere gli occhi da te.
Ma questo silenzio imperante
brucia più di mille discorsi.
Eloquenti i respiri nervosi,
ed i gesti improvvisi
liberamente conseguenziali
a cadenzati sguardi fissi
bagnati da follia e istinto.
Un momento ed i giochi
cambiano per sempre,
stringi forte la mia mano,
accenni un sorriso,
e poi vai via.
Ma siamo una cosa sola.
Io ti ho, anche se non ci sei più,
anime impigliate nei rovi dei sentimenti,
assenti nella concretezza,
ma fugacemente vicine,
tanto che il tuo ultimo respiro notturno m'appartine
ed il primo mio pensiero del giorno
è tuo soltanto.
domenica 2 dicembre 2007
Metto da parte i pensieri
Sono seduta e cerco di formulare pensieri,
parlo sola
chiusa di nuovo in me stessa.
Sara’ soltanto un nuovo errore,
un ricominciare daccapo
una sfida vinta una volta,
ma ho ancora sete d'avventura e sogno di volare.
Metto da parte i pensieri
per quando potrò andare via,
per quando troverò qualcuno a darmi una mano
più in là e qui, nessuno ad aspettarmi.
E sogno, sogno Roma, la grande e immensa Roma.
sogno i suoi vicoli, la sua storia frastagliata,
la sua gente, la melodia delle sue macchine
e la fuga delle sue rondini.
I suoi parchi, le sue nuvole.
Sogno me stessa nel cuore di Roma e poi…
una nuova meta in una nuova vita
per dimenticare viaggiando con i ricordi di quell’ altro sogno,
quello che non si e' mai avverato.
sento parole nella gola
che vogliono uscire ma
che non hanno forma.
Un urlo,
voglio lanciare un urlo
per liberarmi l’anima da tutti questi desideri
che si fanno strada in ammassi di parole confuse e agitate
che non so scrivere…no, ancora non le so scrivere…non ancora.
ma prenderanno forma,
prenderanno forma in una cartolina,
inviata a marameo ad uno spiacevole ricordo.
Roma dove il sorriso arriva con il sorgere del sole.
Dove il sorriso diventa presto allegria.
Dove l’allegria pervade la notte.
mercoledì 28 novembre 2007
Un gioco
Quella di raccogliere e circondarsi di immagini è una pratica diffusa tra le giovani adolescenti. Costruiscono delle santerie, dove i miti convivono e i desideri si compiono nella contemplazione di figure, che evidentemente corrispondono ad un’idealità poetica. Mischiando consumi culturali, scelte di stile, ricordi (biglietti – frammenti di vita vissuta) tensioni ed emozioni in un universo fatto di carta realizzano se stesse. Frammenti di immaginario, condensati su muri, su fogli di quaderni, di diario, dichiarano il loro ambito di relazione e di condivisione e insieme danno azione a quella particolare attitudine creativa che nell’assemblaggio di materiali produce opere. Un arte povera che sempre è spessa, densa di lingua.
Una lingua che svela.
L’ispirazione, per questi Diari d’immaginario, viene dai diari scolastici, che molto spesso sono ornati da graffiti, segni, disegni e immagini ritagliate. Un lavoro di composizione che scandisce le ore di scuola accompagnando i pensieri fuori dall’aula.
Storie fatte di sguardi, paesaggi di piccole visioni, che scrutano l’ordinario per costruire percorsi altri, d’immaginario che cuce senso e surrealtà.
Il collage una qualità della scrittura che assume la lingua e la fa di sospensioni, di manovre poetiche che si lasciano agli occhi, attraverso immagini che nascondono universi sensibili.
Tutto si elabora nel segreto della visione per manifestarsi opera e progetto.
Il tentativo dei diari è di sollecitare la costruzione di un’opera capace di sintetizzare di pagina in pagina una visione del mondo, una complessità che si manifesta attraverso, la scelta delle immagini, del segno testuale, nel disegno, con la scelta del colore e dei materiali, nella cucitura e l’incollaggio dei soggetti, tutto interagisce, ogni atto è calibrato in funzione di una espressione capace di interiorizzare lo stimolo che una singola immagine può produrre, per contestualizzarlo nella forma grafica attraverso il collage.
Intimo che si svela in un lavoro di costruzione, un percorso che definisce lo stile e la differenza d’ ognuna, lo oggettiva attraverso la cura e la relazione con la pagina.
Voli di senso dove il quotidiano, il tempo da sottrarre al dolore, al pensiero della malattia, trova strumento di sfogo e di sublimazione, diviene segno comunicante, narrazione, astrazione, incanto di mondo che osa rappresentarsi.
[Un album – auto costruito - è la base di questo lavoro, fatto con un cartoncino di media grammatura, abbastanza forte per accogliere incollaggi, strappi, ciappature…
I materiali di composizione sono: immagini, frammenti di scrittura, strappi, pagine di diario. Riviste, quotidiani, cataloghi, libri, fotografie, lettere, volantini, biglietti… le fonti. Strumenti operativi: forbici, colle, filo per cucire, ciappatrici, spilli… e tutto ciò può essere utile ad assemblare le cose scelte sulle pagine.]
domenica 25 novembre 2007
mi è sembrato di sentire dentro una voce
Elisabetta Liguori
TRILOGIA DEL TEMPO INGIUSTO
I
Sono nata quando tutto l’amore
s’era già prosciugato.
Ho preso treni già partiti
allo sfrecciare dei finestrini e al passo offeso del controllore di turno
che rientrava togliendo il berretto dalla sua calvizie.
Ho amato uomini già morti
palpato i loro romanzi pubblicati millenni prima.
e partorito figli molto più vecchi di me.
Ho gridato - e guerra sia! – quando i coscritti con lo zaino in spalla
già tornavano a casa nei loro anfibi.
Ho cenato freddo a cucine serrate e forni spenti
Ho acceso la tivù in appartamenti abusivi già abbattuti.
Per questo, quando hai composto il mio numero e io ho risposto
Pronto.
Sono io.
Io, chi?
Quello.
mi è sembrato di sentire dentro una voce
gli applausi della sera giusto al calar del sole,
ed ho riso.
II
Adesso mi pare più evidente
d’essere arrivata al nostro primo appuntamento
con un vestito troppo elegante.
Tu avevi sul cappotto avanzi di piume
come avessi tenuto a lungo a bada
un piccione ubriaco.
D’essere inopportuna coi miei tacchi a spillo
l’ho capito appena t’ho visto
nascosto a tratti dalle gente,
ma l’estate m’ha spinto a mentire.
- Non c’è assolutamente nulla che io abbia voglia
di fare –
dicevi.
Ed io ho infilato
le scarpe strette nella tua pozzanghera
a inzaccherarti.
Non avrei dovuto togliere le calze a maggio.
Questo è il punto.
III
Questa notte
sono stata al nostro funerale.
Stavamo in due bare lunghe e nere
messe vicine e verticali.
I fiori sul coperchio erano dello stesso colore della tua giacca da camera.
Un colore liso e molto più morbido di quello che dovrebbe avere una buona giacca.
Ma di quale colore fosse davvero la stoffa di qui petali lo sanno solo
i nostri vecchi giorni.
Stavamo nelle bare e pure tra gli scanni,
nella chiesa con le altre sagome
profumate d’olio.
Stavamo miti come cani da salotto,
vicini sempre,
mentre tu mi dicevi:
cara
ma
che bella cerimonia,
così emotivamente trionfante e vaga!
Tanto è lo spazio che riempivano insieme
e l’abitudine ad amarsi,
che quei due
di certo
non lo hanno capito neppure d’essere così morti.
gli applausi della sera giusto al calar del sole,
ed ho riso.
giovedì 22 novembre 2007
Fare silenzio
Fare silenzio quando si parla solo per ferire
Fare silenzio piuttosto che pronunciare menzogne
Fare silenzio per ascoltare meglio se stessi e chi ti sta di fronte
Fare silenzio per sopportare meglio il dolore che ti sta sgretolando
Fare silenzio per non disperdersi nel caos dell'assurdità delle relazioni umane
Fare silenzio per annullare la propria presenza
[da anonimo nei commenti]
Adesso tienimi! di Flavia Piccinni (Fazi)
Pochi mesi sono sufficienti per abbandonari al tormento di un amore svanito senza un perché. Una trappola, un inganno che uccide la ragione o forse no. Forse solo il desiderio di una passione senza limiti, di un pathos 'cavernicolo' e ancestrale.
Il tuo è un amore violento, servile, segreto, tutto tuo, pienamente tuo. Scandito da un tempo in perenne attesa, da un ritmo vivo di penosi battiti. Assurdo, incomprensibile per chi non ode il sussurro spietato del dolore.
"Prof, non so dirti addio". Provi di tutto: dalle dita in gola alla lametta. Accidenti! Ti manca il fegato: non devi mica raderti!
Iolanda e Giulia sono le tue più care amiche, troppo amiche per te. Iolanda trova rifugio nell'alcol quando Giulia deve lasciare Taranto.I tuoi genitori,invece,restano aggrappati alla facciata della classe medio borghese: "Martina, ma come ti viene in mente di imbarazzarmi così?... Il padre di quello che odi ci sta facendo "nu' sacc" di piaceri e a te "da mo" ti sta pure simpatico".
Le notti insonne, il silenzio serrato, le lacrime, il fumo, intere giornate incollata su eBay, la remissiva presenza davanti a parenti e amici - allora ce la fai aprendere cento? Signorina hai abbassato la cresta?- Che importa! Meglio chiudersi in camera. I ricordi si affacciano quando meno te lo aspetti. Ti svegli la mattina e sei lì, negli incontri clandestini, nel suo letto, a lezione. Ti porta al poligono: è abile e preciso. Il suo odore in te, su di te, è sigillo di garanzia. Illusa: come può essere tuo? Una figlia è cosa seria. Deve pur raggiungere un varco: quale scelta? Un solo colpo.
Quanti appostamenti sotto casa finiti sempre con una sigaretta fumata appoggiata al muro! Quante promesse frantumate dalle minacce! Quante umiliazioni inflitte come un fiume in piena al solo pensiero di una parola di troppo!
Continuavi a tacere con la testa tra le mani, la disperazione assediava ogni particella del tuo corpo. Vi eravate amati. Ma lei doveva sapere. Tu dovevi sapere. Urli tutto il tuo disprezzo, tutto l'odio che ti stava divorando.
é incinta. Torni nella vostra stanza: ricordi ogni cosa. Quel giorno, prima di suicidarsi, aveva lasciato un biglietto nell'armadietto de poligono per la famiglia.
Ora sai come fare: tagli verticali. "Prof, non so dirti addio".
sabato 17 novembre 2007
mercoledì 14 novembre 2007
Rasserenarsi
Sereno è…
un cielo limpido
Serena è…
una notte piena di stelle
Sereno è
il mare azzurro e calmo
Serena è
una brezza marina
Ma nulla è sereno senza il suo contrario.
Si potrebbe forse apprezzare un cielo sereno
se non avessimo conosciuto le nuvole?
E come si potrebbe ammiccare la tranquillità
del mare se le onde non avessero smosso
quell’immensa distesa d’acqua!
Si può forse rasserenare l’anima mia?
Nuvole, vento, pioggia…
sento da lontano ancora il rombo del tuono.
Brividi percorrono il mio corpo fradicio
e… freddo.
No, non mi volto… non ora
è troppo presto!
Percorrerò impaurita l’arcobaleno
e giunta sull’altra sponda
mi volterò indietro…
quando la tempesta non
potrà più farmi male!
E così ammirare il sereno
davanti ai miei occhi.
(Piera)
Rasserenarsi è…
qualcosa che ti addolcisce l’anima
che ti schiude le labbra
con un soffio delicato
è un canto soave
dopo un frastuono assordante
una perdita assoluta di rabbia e orgoglio.
E’ umiltà
che ti culla il cuore in un battito d’ali,
un angelo che ti sfiora
e ti sussurra amore.
E’ un sentimento che provi
dopo tanta sofferenza
è una preghiera che ti consola.
E’ trovare il modo per stare bene,
riuscire a gioire senza muoversi
e riconoscere la felicità.
(Silvia)
Inspiro-espiro, inspiro-espiro
Il sonno profondo
di bimbo
su un morbido
e caldo
cuscino.
Inspiro-espiro, inspiro-espiro
Fiducia, certezza, sostegno
di braccia sicure
che seguono
ogni tuo passo.
Inspiro-espiro, inspiro-espiro
La forza, la luce
di un padre
che accoglie
rischiara
dirada le nubi
e allenta tensioni.
Inspiro-espiro, inspiro-espiro
mi affido
mi fido
e abbandono nell’unico abbraccio
il mio cuore.
(Evelina)
Fantasma!
Meno tre, due, un:din-don!
è scoccata la mezzanotte!
Vieni fuori fantasma
Esci dall'ombra,alza la maschera
Oh sì che ci sei
Inciampo ancora nel tuo gioco
Tu vuoi da me cosa?
Ah,questo mai.
Non più
Disprezzo è il colore dei tuoi occhi
(Marilena)
mercoledì 7 novembre 2007
lunedì 5 novembre 2007
Io parlo all’amore. Lo scortico dall’incrosto
La poesia di Mariangela Gualtieri
di Rossano Astremo da http://www.poiein.it
Come non amare la scrittura di Mariangela Gualtieri, la registrazione rapsodica e, a tratti, delirante, della sua emotività tagliente, del suo flusso emotivo corrosivo, della sua coscienza pura, verginale, volta a cogliere le limpide corrispondenze tra l’essenza dei suoi stati d’animo e il mondo che attorno le si agita.
L’ interesse, poi, si accresce se si considera la destinazione teatrale delle sue costruzioni in versi: gli spettacoli del Teatro della Valdoca, fondato dalla stessa Gualtieri, insieme a Cesare Ronconi, nel 1983, sono frutto dell’agitarsi perpetuo della creatività visionaria e dirompente della scrittrice di Cesena, le costruzioni delle scene e le azioni degli attori acquistano sostanza grazie la parola sorgiva e istintiva della stessa.
è uscito, in questo 2003, per Einaudi, una raccolta di versi , Fuoco Centrale ( e altre poesie per il teatro), curata dalla stessa autrice, dalla quale parto per poter cogliere gli elementi di profonda originalità del suo poetare.
Consideriamo questo testo :
…
Io parlo all’amore. Lo scortico dall’incrosto
nel sogno e ne faccio musica storta
ne faccio delicato vento che solleva o dondola
e impollina al cuore. Alla scomposta
mente, impollina l’occhio con l’occhio
l’occhio con l’animale e viene il bello
che ci sviva, ci sviva tutti. Di più.
…
Ciò che emerge, nei versi della Gualtieri, è un totale salto in avanti rispetto ad una concezione della poesia ben ordinata nel suo pacchetto metrico e stilistico e un assoluto lasciarsi andare della parola che diviene strumento profondo di analisi, potente meccanismo terapeutico, straziante e sublime terreno sul quale poter spargere i semi dello stato sorgivo del proprio essere:
…
Io sono spaccata, io sono nel passato prossimo,
io sono sempre cinque minuti fa,
il mio dire è fallimentare,
io non sono mai tutta, mai tutta, io appartengo
all’essere e non lo so dire, non lo so dire,
io appartengo all’essere, all’essere e non lo so dire
…
Questa analisi senza veli del proprio Io diviene martellante, ossessiva, a tratti nauseante, ma mai stancante, ponendoci di fronte a partiture in versi che raggiungono livelli di lirismo
indiscutibili:
…
Io non so se l’amore sia una guerra o una
tregua, non so se l’abbandono d’amore
sia una legge che la vita cuce fino al
ricamo finale. Io non so
che farmene di questi amici che premono,
non so che farmene oggi di questo oggi
e me lo ciondolo fra le dita perplesse,
non so parlare quello che
è sentito nel profondo me, non so parlarlo
quell’essere qui presente fra le vite degli
altri.
…
o ancora:
…
Io non so se la solitudine, se quello
strazio chiamato solitudine, se quell’andare
via dei corpi cari, se quel restare soli
dei vivi, io non so se quel lamento della
solitudine, se quel portarci via le facce
se quel loro sparire
di facce che avevamo dentro il respiro, non so
se il dono sia questo portarci via le
carezze, questa stacciatura.
è poco il poco che so e di questo
poco io chiedo perdono. Io chiedo
perdono per quello che so, perdono io chiedo
per tutto quello che so.
Quella della Gualtieri è una poesia volta alla continua ricerca interiore, dove i presupposti di un approccio formale al testo vengono sfibrati e allentati per supportare la sensibile logica di una esasperata profondità dell’essere.
In quest’azione viscerale, che sfocia, poi, nella composizione del testo poetico, la Gualtieri è profondamente vicina ad Amelia Rosselli, poetessa dell’anima in fiamme e del cuore in sangue. Infatti, scrive la poetessa di Cesena: «Per devozione, per troppa passione, ho rubato qualcosa ad Amelia Rosselli, me la sono tenuta in braccio, a volte, mentre scrivevo».
L’oltre, il valore aggiunto della scrittura di Mariangela Gualtieri va ricercato nella resa teatrale dei suoi testi. In questo l’armonia d’intenti con Cesare Ronconi è fondamentale.
È come se l’approccio informale della sua scrittura, l’action writing che la sostiene, trovasse la sua compiutezza nella struttura che la regia di Ronconi riesce a dare, rendendo, di conseguenza, il Teatro della Valdoca una delle compagnie più affascinanti e stimolanti presenti nel nostro Paese.
martedì 30 ottobre 2007
Trovare le parole, tra ascolto e scrittura
di M.M.
“Sento che vivere è viaggiare, e viaggiare è crescere. Sento che occorre un mutamento nel paesaggio. Sento che è fondamentale un mutamento nel cuore"
C’è come uno stato pigro che conferma il se malato, che ferma l’agire, lo incanta in un andare e venire dei pensieri che si fanno mormorio dell’io. L’artista si distacca dall’opera per contemplarla, così per la cura, posso fare di me l’oggetto dell’opera. Chiedere alla terapia di farsi opera è fare della cura un’esperienza creativa, un cammino di maturazione, capace di affinare autostima, capacità relazionale, ma anche vocazioni e attitudini; fortificare il paziente nel suo diventare autore di se, in una acquistata consapevolezza, dentro una possibilità nuova di concepirsi. Tante sono le resistenze, che la proposta di un agire creativo trova da parte del paziente. Sentirsi inadeguato, non all’altezza, scarso, di non valore, o pigro, aver paura di esporsi, vergognarsi, aver timore del contatto… sono spesso segni di una difficoltà di sentirsi creativi, di poter essere soggetti capaci di creare, di oggettivare sé, di andare oltre il sé, di abbandonarsi nell’opera. E allora quali strumenti? La poesia porta mistero e svelamento cuciti insieme, nell’intenzione del dono. E’ carne che osa, scoperta della sua materia sensibile, dicente, significante. Teatro è la poesia: rappresenta e suona nel verso, inaugura senso, sorprende, intona e spiazza, dispone all’ascolto, costruisce immagini e nutre immaginari. L’intento dell’introduzione di pratiche di scrittura nei luoghi di terapia e di cura è quello di sollecitare, o forse meglio, insinuare la possibilità di un incontro con la materia poetica la propria sottesa e mormorante, frustrata e bandita dalla malattia che nega nel suo vortice la possibilità espressiva e quella dei poeti, degli artisti, di chi nel dolore ha saputo trovare la possibile via d’un riscatto espressivo che continua a nutrire nel farsi opera. Scrittura e l’autore sono e e si fanno corpo unico (altro) con cui prender contatto. Stabilire una sintonia, una conoscenza capace di divenire nuova parola, di trasformarsi in atto proprio, in azione. Rinfranca sentire l’opportunità d’un disagio condiviso, di sensibilità capaci di sublimare dolore ed emozione, di scavare nell’inquieto sé. Rinfranca sapere: scoprire biografie e con loro la natura d’un versificare stretto alla vita, scrivente la vita. [Chi è il poeta? Quale vita è la sua, cosa gli è toccato, quale il destino? E, come la scrittura lo ha nutrito, accompagnato, risollevato, consolato o riscattato? E’ utile scrivere?]. Trovando l’altro racchiuso tra pagine di versi, scambiare con l’autore il sentire, l’emozione, ciò che è ispirazione, in-canto, appropriarsene, farsi parlare, quando mancano le parole – o le parole sono nell’incantamento mormorante d’un io chiuso – bloccato nel disagio, nella contemplazione d’un atto incapace di generare.
Appetiti di Caroline Knap
La fame delle donne
di V.D.L.
sabato 27 ottobre 2007
venerdì 26 ottobre 2007
Storia di Noemi
Quella che vi sto per raccontare è una bella fiaba, reale in ogni suo particolare tranne che nel nome della protagonista.
C’ero una volta…
Mi chiamo Noemi e sono una ragazza di ventisei anni. Sono nata in un piccolo paese in provincia di Lecce, in una famiglia apparentemente normale. Sono stata una bambina serena, forse un po’ troppo sensibile, una bambina paurosa, ma non timida. Mia madre e mio padre lavoravano ed io trascorrevo gran parte del tempo con le mie nonne - soprattutto quella materna - una zia e una prozia…la classica famiglia meridionale! Non ho avuto un’infanzia traumatica, almeno credo…Forse, a pensarci bene, tutta la mia vita non è poi peggiore di quella di tante altre. Mi ritengo una persona tranquilla, ho sempre fatto tutto il possibile per accontentare i mie genitori, per essere la figlia perfetta, la nipote perfetta, l’amica perfetta, l’alunna perfetta. Poiché nessuno è perfetto, circa dieci anni fa o forse anche più ho deciso di diventare Nessuno. A dodici anni ho cercato di ribellarmi a determinati schemi, che dovevo seguire e che non sentivo miei, ma allora e forse neanche adesso ho la possibilità di scegliere da me. Devo solo fare quello che gli altri mi dicono, anche in silenzio…un silenzio che a volte è più autoritario di qualsiasi altra parola. Come se non bastasse, fisicamente non mi piacevo, mi vedevo sempre più grossa rispetto alle mie amiche e così ho pensato bene di fare una dieta. A quindici anni iniziai la famosa “dieta del minestrone”, che nel giro di una settimana è riuscita a farmi perdere ben cinque chili, recuperati con gli interessi la settimana successiva! Da allora il mio corpo ho assaggiato la dieta del momento…l’ultima ritrovata pubblicitaria. Ero molto attenta a mascherare ad ogni persona e principalmente a me stessa che il cibo ed il mio corpo stavano per diventare un’ossessione. Quando misi un po’ di soldi da parte mi recavo in farmacia ed acquistavo (ovviamente per una mia amica) pillole e beveroni dimagranti. Non vedevo alcun risultato, ma continuavo a prenderli e sempre in dosi maggiori. Mi sentivo bene, credevo di essere cresciuta, di far parte del mondo degli adulti. Una volta dimagrita, potevo essere anch’io oggetto del desiderio dei ragazzi e come se non bastasse avrei avuto un doppio vantaggio: diventare perfetta! Ma perché non dimagrivo mai abbastanza? Ero sempre grossa…le pillole non funzionavano più da sole, dovevo aumentare l’attività fisica. Ho sempre amato lo sport, ma il movimento che facevo non bastava più. Necessitava di un potenziamento e di un aumento della frequenza. No! ero ancora troppo grossa… Sono diventata vegetariana, la pasta non la digerivo, mangiavo e poi sputavo nei tovaglioli di carta... Ma ancora tutto questo non bastava. E allora mangiavo sale per poter vomitare. Passano gli anni. L’attenzione per il cibo si trasforma in ossessione… io non volevo vedere. Le relazioni interpersonali cambiano. Ero una ragazza socievole, amavo stare in compagnia… Divento una ragazza facilmente irritabile, attenta alle calorie, alla forma fisica, che ama la solitudine. Non ho rispetto degli altri, non riesco ad avere un confronto senza che esso sfoci in un litigio e una successiva chiusura. E poi inizio a mentire anche a me stessa! Quando qualcuno cerca di giustificarmi, i sensi di colpa mi assalgono e le abbuffate crescono sempre di più. E’ difficile parlare delle mie relazioni, ho fatto male a tutti e molti mi hanno fatto male. Non so se perché loro non capivano me o se io non riuscivo a spiegarmi. Molto spesso ho rinunciato a lottare, ho percepito che i miei genitori volevano sempre che io restassi bambina e quando mi comportavo da persona adulta c’era sempre qualcosa che non andava. Non avevo previsto un dettaglio, non avevo chiesto il loro consiglio. Volevo farcela da sola! Ma se provo a diventare autonoma i silenzi dominano in casa. Come se non bastasse loro dicono che mi hanno lasciata sempre libera di scegliere ma…in modo subliminale governavano e governano la mia volontà. Per renderli felici e avvicinarmi sempre più al mio ideale di perfezione, annullo la mia volontà. Soffro troppo nel sopprimerla ogni volta…sto male. E così ho pensato bene di non sentirla più, le tolgo la voce…non riesco ad ucciderla, non riesco a sostituirla con quella degli altri. Anche muta lei parla, le parole afone mi feriscono, si ribellano ed io le ignoro puntualmente. Ora non la riconosco più, non so se la voce che sento è la mia o quella degli altri. Dentro di me c’è solo caos, vuoto, voragine, guerra. Riesco a fidanzarmi – una storia che dura ben cinque anni - ovviamente con un ragazzo che piace ai miei o così credevo! Non è mio amico, non gli vado bene, non gli piaccio così come sono. Cercavo in lui una valvola di sfogo. Credo che con i genitori un rapporto conflittuale sia anche “normale”, ma con il proprio ragazzo no. Mi chiude in casa è ossessivo e possessivo. Sto male, i miei non vedono e mi colpevolizzano, anche perché io sono muta, non parlo e poi so fingere bene: sono libertina dicono e lui fa questo per il mio bene. Faccio una cosa che non credevo sarei stata in grado di fare: tradisco il mio ragazzo. Quanti sensi di colpa. Io che sono sempre cresciuta secondo una morale cattolica, mi ritrovo a fare cose assurde. Mi vergogno tantissimo. Ho due vite: una apparentemente normale, l’altra peccaminosa e contraria ad ogni morale. Non riesco a guardare negli occhi i miei genitori, continuo a frequentare la chiesa e i sensi di colpa aumentano. Prendo in giro tutti. Non posso lasciare il mio ragazzo, lui mi ama, anche se mi chiude in casa, se mi offende, se mi dice che mi ha pagata troppo perché sono una puttana. Io l’ho tradito…non ho avuto il coraggio di lasciarlo né di dirgli la verità e poi per chi? Nessuna relazione seria, sono andata a letto anche con persone che non conoscevo…forse sono diventata quella che lui mi diceva di essere. In più dovevo andare a letto con lui, anche quando non volevo, perché dovevo dimostrare che l’amavo. Io molte volte non volevo, ma dovevo…mi facevo sempre più schifo! Mi faccio schifo, sono una spazzatura. L’unica cosa che posso fare è andare via da casa. Mi trasferisco a Torino, io volevo andare in un’altra città ma il mio ragazzo mi obbliga a stare con lui, a convivere. So che i miei, da buoni cattolici, non sono favorevoli alla convivenza. Ma sono in grado di decidere da sola? Sono adulta, non sono più una bambina. Non voglio vivere con lui, non voglio stare con i miei. Cosa voglio fare?…non lo so! Come è possibile? Decido di vivere con lui. Un anno e mezzo di prigionia e di bugie, anche di tradimenti. A Torino sono sola, posso abbuffarmi con più facilità e poi lì scopro i lassativi. Novanta al giorno sono sufficienti. Il dolore provato lo meritavo tutto…così mi sentivo svuotata completamente. Vomito, lassativi, attività fisica, digiuni, abbuffate, pillole dimagranti, diuretici, cibo mangiato dalla spazzatura: la mia giusta punizione! Dovevo stare male. Da questo momento in poi il buio mi avvolge, tutto va in rovina. Mi convinco sempre di più che la mia vita ormai è finita: sono stata condannata a stare seduta su di una poltrona di ferro e vedere la mia vita. Sono un vegetale che aspetta di morire…ho tanta voglia di vivere che desidero morire per non vedere la mia vita vissuta senza un’anima. Ma non ho nemmeno il coraggio di farla finita. E allora vivo l’inferno! Non posso più innamorarmi, non lo merito, non sono degna di stare con i miei, la vergogna, i sensi di colpa sono insopportabili…e poi è anche colpa loro. Si, sono incazzata con loro, non mi capiscono…non riescono ad accettare un diverso modo di pensare. Per loro la felicità non esiste, c’è solo il sacrificio, il non godere. Anche la tavola diventa un dovere, una cosa fatta in fretta, dove l’indifferenza è il piatto forte. Voglio scappare, ma non ho un lavoro e non so dove andare. Nessun luogo mi mette al sicuro da me stessa. Sono vittima e carnefice; mi consumo in un sadomasochismo che mira ad annichilirmi. Non riesco a diventare Nessuno. Voglio scomparire, ma sono condannata…più mi consumo più devo mangiarmi per potermi consumare, ma non finisco mai! Poi… Poi dentro di me uno spiraglio di normalità riaffiora e, come in un sogno, mi fa assaporare il dolce sapore della me che non è morta, ma solo imprigionata. Ho un bavaglio, per questo non riesco a sentirmi; mi faccio pena e nello stesso tempo mi torturo. Come in tutte le fiabe che si rispettino incontro il mio principe azzurro, ma non può liberare la principessa rinchiusa nella torre! Solo io lo posso fare. Mi vergogno a stare con lui, come faccio a regalargli una me che è un mostro. Un brivido caldo, una voce forse flebile eppur percepibile dice che il mio cuore batte ancora e che ce la posso fare, posso guarire. Una telefonata … apro gli occhi: quello che ancora avevo ignorato è che sono malata. Non posso farcela da sola, ho bisogno di cure, di persone esperte e competenti. Fortunatamente qui a Lecce è attivo un centro di cura per i disturbi dell’alimentazione. Ora so che - dopo una breve fase anoressica - sono affetta di bulimia nervosa. Il percorso è molto faticoso, la malattia ha compromesso la mia volontà, mi sta divorando. La bacchetta magica… La cosa bella è che esiste una cura… sembra strano, un sogno! A volte la realtà riserva sorprese così banali, per questo non cercate, ma essenziali…gocce di vita. Dopo alcuni mesi di attesa, si aprono le porte del centro: fate in vesti di streghe, torri con altre principesse imprigionate come me…ho paura ma non sono sola! Ogni cosa che tocco si trasforma in cibo che minaccioso è lì, per esser ingerito e trasformarsi in cumuli di grasso, che copriranno questo donna morta in marcia. Poi le fate si spogliano dei loro abiti grotteschi e il cibo da anima al mio corpo inerme. Sa di buono! ogni alimento ha un gusto nuovo…ho fame. Sì! le persone sane hanno fame e non devono sentirsi in colpa per questo. Avere fame non è sinonimo di “ciccione”…è normale! Molti traumi, molte separazioni violente hanno segnato la mia vita. Non le voglio raccontare. Ho paura che possano ancora farmi male. Non avverrà il miracolo, il passato non lo dimenticherò, i suoi segni resteranno indelebili nella mia anima, ma avrò nuovamente un’anima…che bello! Le persone accanto a me non cambieranno, gioie e dolori si alterneranno, non vivrò felice e contenta… Vivrò... Vivrò e godrò ogni attimo del presente, vivrò e non abbandonerò più la mia vita!
non c'e gioia più grande nel ricordare un dolore oramai passato
questa vita che con i suoi ritmi ci ha portato via tutto o forse niente,
questa gente che con i suoi sorrisi e schemi
ci ha tolto tutto o forse niente,
questo mondo perfetto che ci fa sentire tutto e niente,
questa mente....cosi segnata,
ci fa vedere tutto ma "quasi sempre niente".
e non troviamo via d'uscita, allora ci adagiamo nel dolore e nella commiserazione,
perchè in fondo iniziamo ad amare quegli sguardi di pietà e compassione... ma chiedetevi se è questa la via che volete passare: dietro le quinte, sempre in punta di piedi, pronte a chiudervi in voi stesse e rimproverarvi ogni gesto d'amore e di vita.
anche io sono stato uno di voi... e so bene quanto l'esperienza della malattia e ancor peggio della cura, possa essere terribile,ma in fondo "non c'e gioia più grande nel ricordare un dolore oramai passato".
non impegnatevi a cambiare il mondo la fuori, perchè come ogni sistema, farà di tutto per conservare il suo equilibrio perfetto, e voi vi sentirete sempre tagliati fuori con la vostra imperfezione...ma scoprirete col tempo il piacere nel non sentirvi partecipi, ve lo garantisco!
piuttosto, trovate in questo duro cammino " la via per uscire dal buio" e costruite in voi,non quel muro che vi separerà sempre dal mondo, ma quel "nuovo io" che e' pronto a gridare al mondo che c'è, che esiste... e che vuole vivere realmente e intensamente quanto c'é la fuori bello o brutto che sia, purché sia vero, autentico.
credere in noi, e' questo il primo-difficile passo che siamo chiamati a fare...
"e in fondo ad amare noi stessi siamo sempre stati abituati"...perché smettere, perché proprio ora! :-d
pdl87
17 ottobre 2007 16.25
venerdì 19 ottobre 2007
mercoledì 17 ottobre 2007
Tina Modotti ritratta da Edward Weston
Nolita? No anorexia?
di L. A.
Oliviero Toscani espone le sue modelle sofferenti, sulle mura del Castello Carlo V°, non presente alla innaugurazione della mostra domenica “Intramoenia extrart. Il gran tour della meraviglia” (!?) si fa sentire come una telefonata! C’è chi può!
Noi riceviamo dall’interno del Centro per la Cura e la Ricerca sui Distrubi del Comportamento Alementare, un intervento sulla campagna Nolita/No aronexia.
Il Centro della Asl di Lecce ha attivato in rete un blog: http:lemanisorelle.blogspot.com aperto a contributi e commenti.
Un tempo l’uomo era impegnato nella lotta per l’affermazione di sé, per divenire cioè principio costituente della realtà contro la visione teologica dominante. Oggi tale supremazia è in mano al reale e all’uomo non resta che la condizione di sudditanza.
Dietro questa oggetivazione degli individui non c’è alcun complotto. Non esiste un Grande Fratello orwelliano. Sono i nostri discorsi ad instillarsi radicalmente nel tessuto sociale, creando uno spartiacque fra ciò che si può dire e non dire, fra ciò che si può fare e non fare. Ma sulla scacchiera delle cosiddette “procedure discorsive” domina il re: è il potere. Potere che scava come una “talpa cieca”, invisibile, insondabile, ma onnipresente.
Sapere e potere , dunque, foucaultianamente intesi, costituiscono un “dispositivo” capace di determinare il nostro modo di intendere e interpretare il mondo reale.
Nella contemporaneità il dispositivo sociale prevalente è il marketing: la “nuova” scienza economica che struttura il reale secondo proprie prerogative. Agisce in base ad una sola logica, quella del profitto. Il suo obiettivo? Arrivare a determinare bisogni sempre nuovi e crescenti dal momento che c’è una scadenza da rispettare: il fatturato. Come entra nella nostra vita? Certamente non in punta di piedi. Non bussa alla porta del nostro magazzino di sapere. Piomba in modo dirompente imponendoci i suoi significati. Significati che vanno a stratificarsi attraverso gli oggetti di consumo, i quali diventano i “discorsi” del marketing. Siamo liberi di acquistare o meno questo o quel marchio, ciò nonostante il marketing avrà ugualmente raggiunto la propria finalità: entrare nella nostra mente, modificando il nostro stile di vita.
É quanto si è verificato con l’ennesima campagna pubblicitaria di Oliviero Toscani per conto di Nolita, fashion brand del gruppo padovano Flash&Partners. Un’ex modella francese- appena 31 Kg- espone il suo corpo nudo, emaciato, consumato dall’anoressia. Si parla di campagna shock. Lo è. Si parla di provocazione. Lo è. Si pala di strumento di sensibilizzazione ai mali sociali. Forse lo è un pò meno.
In fin dei conti, insabbiato quel polverone di disapprovazione, acclamazione, scandalo o consenso, a Toscani non resta che l’ennesima “corona d’alloro” di cui furono cinti pochi geni e d’altri tempi. La differenza? La sua collezione non è arrivata post- mortem!
A guadagnarci veramente non è quella giovane scheletrica aggrappata ai manifesti delle più note città italiane, ma Nolita, che ergendosi a “specialista” delle malattie psichiatriche, ha esogitato un “rimedio” per i problemi legati al cibo: “perché non mettere questo universo giovanile, così ribelle, complicato, insensato, di fronte alla nuda e cruda verità? Mostriamo come si riduce un corpo vessato nella carne, nell’intimità, nello spirito! Tutti, però, devono sapere che a porre in guardia sono io, Nolita!”. Nulla in contrario. Tuttavia vien da chiedersi se quel manifesto“No Anorexia” sia davvero un monito per le schiere di fanciulle disposte a qualsiasi sacrificio in nome della bellezza, della perfezione, del successo “facile”; mentre continuano a “sopravvivere”, all’ombra dei cipressi, le associazioni, le strutture ospedaliere che lottano ogni giorno con una burocrazia lenta e spesso sorda alle insistenti richieste di risorse e personale specializzato. Sì, perché c’è da sottolineare che si possono contare sulle dita delle mani le organizzazioni di tipo pubblico impegnate nella ricerca e nella cura delle patologie legate all’alimentazione. Continuano a lavorare dietro le quinte nonostante il palcoscenico resti un’esclusiva della spettacolarizzazione, dei colpi di scena.
Coniugare il prodotto, il marketing e i problemi sociali è veramente la sola freccia in grado di centrare il bersaglio, in grado di “costringere” la società civile a superare il mito della magrezza?
Dialogo, comprensione, ascolto sono le prime armi contro la quotidiana indifferenza, piccole rose nel deserto contro l’inaridimento dell’animo.
lunedì 15 ottobre 2007
Un appello di Voce di Donna
Di quest’ ultimo la provincia di Ravenna ha deciso di pubblicare questa frase per invitare alla lettura: “Un buon libro è la compagnia più intelligente che un uomo possa trovare. Ogni tanto però ci vuole anche un po’ di solitudine con qualche passerina ignorante.”
Grazie per la vs. attenzione e un caro saluto a tutte/i voi da voceDonna
(nei commenti potete trovare gli indirizzi e il testo dell'appello da inviare!)
sabato 13 ottobre 2007
Foglia appena nata, è il mio cuore!
da Costatino Kavafis di Manila
Un occhio di stelle
ci spia da quello stagno.
E m'oscuro nel mio nido.
Chiudiamo gli occhi
per vedere nuotare in un lago
infinite promesse.
Ci rinveniamo a mancare la terra
con questo corpo
che ora troppo ci pesa.
Ma ben sola e ben nuda
senza miraggio
porto la mia anima.
Mondo.
Fratelli.
Foglia appena nata
è il mio cuore, il paese più straziato.
Probabilmente non sei più chi sei stata
da Rabindranath Tagore di Alessandra
In questa notte in cui tutto trabocca ignoro.
Un moto senza posa ci sospinge.
Il corso del tempo non è che un passo minimo nel cerchio del perenne
solo ciò che persiste ci inizia all'essere.
Senti come lo spazio cresce ad ogni tuo respiro,
di te che non sei più forma ma essenza.
Ciò che ti consuma diverrà forza grazie a questo cibo.
Tu entra ed esci dalla metamorfosi in questa notte in cui tutto trabocca,
sii magica virtù all'incrocio dei tuoi sensi
dei loro strani incontri sii tu il senso.
Probabilmente non sei più chi sei stata.
Ed è giusto che sia così.
Non apparirai più per dare un senso al nulla e non ti chiederai,
imprigionata tra le bende e i gessi se fu inganno, fu scelta, fu comunicazione.
Tu sola sapevi che il moto non è diverso dalla stasi, che il vuoto è il pieno,
e il sereno è la più diffusa delle nubi.
Quello che mi diceva mia madre, non può certo essere vero!
da Pablo Neruda / di Nadia
Quello che mi diceva mia madre
non può certo essere vero.
Diceva: una volta macchiata tu non diventi più pura.
Per la tela non lo puoi dire,
neppure per me tu puoi dirlo.
Poiché quando il primo mi strinse tra le braccia,
e io strinsi lui sentì dal grembo e dal petto sfuggire i cattivi impulsi.
Così va per la tela.
Mi davano nomi cattivi e divenni una cosa cattiva.
Con il risparmio e con il digiuno non c'è donna che si ristabilisca.
Se nel cassone la tela giace a lungo
Nel cassone poi diventa grigia.
in un'altra annata.
Vidi, quando tutto fu diverso,
che anche io ero cambiata.
Immergila nel fiume e agitala.
C'è sole.
Come prima diventa nuova.
Lo so: tante cose possono capitare
Finchè non ti capita più nulla.
Solo la tela mai indossata
È stata una cosa sprecata.
Se si è fatta tutta lacera
Più nessun fiume la rende pura.
La sciacqua, la riduce a stracci.
Nel sole rosso sulle pietre amo le chitarre
Sono interiora di bestie, la chitarra canta bestialmente,
divora piccole canzoni.
L'essere che io porto capita in un mondo perverso
quando gli errori sono esauriti siete come ultimo compagno
di fronte a noi il nulla
per quante volte tu guardi il fiume non vedi mai la stessa acqua.
Non guardar fissa l'onda che si frange al tuo piede
fino a quando sari immerso nell'acqua verranno
io che nulla più amo dello scontento per le cose mutabili.
Così nulla odio più nel profondo scontento
per le cose che non posso cambiare.
giovedì 11 ottobre 2007
Di luce, di amore e di vero...
Di urlo agghiacciante
è l'urgenza
di un occhio spietato.
Libera, libera, libera
gli occhi
da ciglia incollate
di sangue!
Libera, libera, libera
le mie notti
da lune grondanti
di rosso!
Di verde
le voglio vestire.
Di luce, di amore e di vero,
che pieghi
che curvi
che spezzi
le sbarre di ogni menzogna.
E se non avessi memoria? / Se questo miscuglio di croci e voci...
poetessa di Martina Franca.
Vi proponiamo alcuni suoi versi.
dal suo I fiori nei cantieri, 2007 Campanotto
... e non avevo che questa
umana bilancia
del sentire
che della mia imperfezione
facevo metro d'umanità
e amavo più forte che potevo
Ho i pugni al sole
e nel volto una folla
si scuce il viso
e si ricuce il cuore
poca luce respiro
e sono folle.
Mi sboccia un ombra sulle labbra
ed ogni sillaba è pietra d'ambra
che sfilo dagli occhi
abracadabra
che mi serra le palpebre
e m'incolla le ciglia
di terra e di pianto
di miseria collettiva
che grido e grido
fino a farmi sangue
senz' ossa e carne
e scorro tra lune rosse
fino a farmi immune
da questa vita di carne.
***
Non mi adeguerò mai a nulla
sono d'altri pianeti i poeti
se toccano terra
è solo per l'erba
per quant'è bella verde
aspra di luce.
Ho nel cuore
quel che non si può dire.
Vietato essere
in quest'universo
veri.
Allora siano chiuse le mie porte
ed entri solo Poesia
che sola passa
come lana di nuvole
dalle sbarre.
E filo... filo...
come questo fuso d'inchiostro.
***
Questa corsa da me
mi sfianca
mi stanca restando
e non so più davvero
se sono me
o altri
e mi sveglio spossata
spaesata di me.
***
L'animo sgombro
è una casa piena d' echi
anche se aperta
nessuno può rubarti nulla
nessuno può prendere il tuo nulla
o acchiappare un ombra coi tacchi.
Solo il vento può dire
e l'animo rispondere.