domenica 30 dicembre 2007

dell'essenziale

Un tempo
là fuori
ho rubato la luce
per delineare
i contorni
dell'essenziale.

giovedì 13 dicembre 2007

Irene Leo

Mi destai un giorno dal torpore

grazie mauro...davvero! onorata di essere nei tuoi nonluoghi poetici. Mi fa piacere...
Cero che sì, pubblica pure il mio racconto...senza problemi :)
Ti confesso che ne ho numerosi...oltre a liriche varie. E su "là fuori" intendo costruire una storia più corposa...è un lavoro in progress.
Cmq nel caso tu volessi postare altro secondo modi e tempi tuoi, puoi attingere a www.bloggers.it/Psiche

ecco ti lascio qui un altro racconto...about vera bellezza. Dedicato a tutte quelle bellissime donne, di bellezza sottopelle e cuore, che ancora hanno da scoprire quanto sono uniche...e libere d'essere meravigliosamente imperfette.
Un abbraccio
Irene

Musa

Mi destai un giorno dal torpore. Il torpore dolce del miele che sgorga lento, fluido e sublime sopra le cose, gli oggetti, i momenti. Spigoli camuffati di tondo bene, di sogni e desideri.
Mi svegliai come quando un tuono inatteso lambisce d'improvviso il cielo estivo. E fu bizzarro alquanto aver consapevolezza diversa e nuova di quel tutto.
Mi ritrovai imbrigliata tra le tende pesanti, broccato rosso e consistente, di muta e altrui disperazione, dalla trama fitta, che leva il respiro.
Impossibilitata nei movimenti, avvertii un torpore ed una muta preoccupazione e mille voci.
Finalmente aprii gli occhi. Cominciai a respirare offuscata dalle malie dei petali carminio, profumati d'oriente, dai toni d'azzurro e blu del mare. Cominciai a respirare, con i miei polmoni.
Le parole riacquistarono il senso sereno dell'equilibrio, e da lontano cominciarono a sfumare.
Il pensiero come un destriero purosangue, cominciò a galoppare veloce oltre, cancelli, mura, orizzonti, oltre i recinti di belle speranze che aggradano ma imprigionano, oltre gli amori cantati e taciuti, oltre gli acquerelli di poesie declamate alla luna.
Compresi che non erano altro che semplici prove. Prove d'amore che ogni cuore decantava a se stesso, quasi come fosse una rassicurazione, un dare conferma al mondo, che si è ancora capaci di amare. Ma è difficile scrivere a se stessi, ed allora si inventa il volto di una Musa. Una qualunque che somigli parzialmente all'ideale di perfezione cosmica. Un prodotto tanto bello, quanto irreale. Feci per sollevarmi. Le mie ali erano appese al muro, come trofeo. Il mio nome, brillava come su una locandina da circo. Io che mai ho amato luci finte e sintetiche. Io che non ho chiesto mai. Nulla. Mi ritrovai invece con le mani piene, ed il cuore vuoto…
Mi sollevai. Mi scrollai lentamente dalle spalle la pesantezza del silenzio e cominciai a parlare.
Ma una sola parola sgorgò dalla gola arsa di vento e sussurri altrui. Stanca di sorridere e felice di piangere e di apparire la creatura più imperfetta del mondo. Felice di non esserlo, Musa. Felice d'essere disgraziatamente umana. Aprii la finestra sul cuore, accanto al caminetto ardente dell'anima, per cambiare l'aria viziata di nostalgia.
Cominciai a parlare.
Sentivo il vento freddo della realtà sferzarmi il viso, con amara verità, provai dolore, sulla pelle fiorì un brivido, e si infranse la magione di cristallo in cui per troppo tempo era stata condotta, in maniera consenziente.
-Tacete!
Fu il grido.
E prese le mie ali, le indossai , in quanto parte di me, ed andai là fuori, senza dire altro, senza volare.
E dei petali carminio, dei profumi d'oriente, delle poesie declamate alla Luna, non rimase che il puntino luminoso di una stella destinata all'eclissi. Della Musa rimase il guscio vuoto di una cicala, appeso al sole. E dalla goccia di pioggia, sgorgata dal candore invernale, nacque una Donna libera e vera.

--
Irene Ester Leo

martedì 11 dicembre 2007

Lo scrigno è già vuotato!


di Elisabetta Liguori








Se un ladro entrasse ora

in questa casa

nel buio

troverebbe le tue impronte

sui libri,

la serratura che boccheggia,

i tuoi occhi posati.

Troverebbe nei cassetti la mia forma sottovuoto

lievemente spostata a sinistra,

nell’aria

e sorpresa,

ammonticchiati

i miei cd

con i segni delle tue dita sulla polvere.

Capirebbe così, quel ladro disonorato,

d’essere arrivato tardi.

Ché lo scrigno è già vuotato.

Resterebbe forse un paio di minuti a

dirsi niente

e poi sarebbe lui a chiamare la polizia.

venerdì 7 dicembre 2007

da Anonimo

"Quando sono nata tutto il mio amore si era già prosciugato..."
giusto il tempo
"...di sentire gli applausi al calar del sole..."
che subito notte mi avvolse.

Vorrei parlarti, ma un argomento non c'è

di Irene Leo


Il sapore

Vorrei far mio

il sapore della vita!

Incastonandolo a fondo,

a fuoco,

per non dimenticare.

Ma ogni istante,

bagnato di fugacità

me lo fa scivolare tra le dita,

come seta.

Nego d'ogni momento,

ne intravedo l'essenza passata,

nel presente non v'è modo,

troppo abbagliati gli occhi

da tanto e da tutto.

Troppo persi,

dietro ogni spettacolare,

soave o amaro capriccio.

Presi da ogni altrui

respiro,

da ogni sentimento.

Il gusto m'è sfuggito

forse ieri,

mentre distrattamente

mi muovevo,

come oggi,

languida e titubante

dietro

un altro attimo

dannatamente

vissuto.


Non c'è un argomento

Vorrei parlarti,

ma un argomento non c'è.

Un sovraccarico di pensieri

che si annullano vicendevolmente

affolla la mia mente.

Muta e silenziosa,

mi avvicino,

avanzo nei pressi del cuore,

senza proferire verbo,

senza distogliere gli occhi da te.

Ma questo silenzio imperante

brucia più di mille discorsi.

Eloquenti i respiri nervosi,

ed i gesti improvvisi

liberamente conseguenziali

a cadenzati sguardi fissi

bagnati da follia e istinto.

Un momento ed i giochi

cambiano per sempre,

stringi forte la mia mano,

accenni un sorriso,

e poi vai via.

Ma siamo una cosa sola.

Io ti ho, anche se non ci sei più,

anime impigliate nei rovi dei sentimenti,

assenti nella concretezza,

ma fugacemente vicine,

tanto che il tuo ultimo respiro notturno m'appartine

ed il primo mio pensiero del giorno

è tuo soltanto.

domenica 2 dicembre 2007

Metto da parte i pensieri

di Francesca A.

Sono seduta e cerco di formulare pensieri,
parlo sola
chiusa di nuovo in me stessa.
Sara’ soltanto un nuovo errore,
un ricominciare daccapo
una sfida vinta una volta,
ma ho ancora sete d'avventura e sogno di volare.

Metto da parte i pensieri
per quando potrò andare via,
per quando troverò qualcuno a darmi una mano
più in là e qui, nessuno ad aspettarmi.

E sogno, sogno Roma, la grande e immensa Roma.
sogno i suoi vicoli, la sua storia frastagliata,
la sua gente, la melodia delle sue macchine

e la fuga delle sue rondini.

I suoi parchi, le sue nuvole.
Sogno me stessa nel cuore di Roma e poi…
una nuova meta in una nuova vita
per dimenticare viaggiando con i ricordi di quell’ altro sogno,
quello che non si e' mai avverato.
sento parole nella gola
che vogliono uscire ma
che non hanno forma.

Un urlo,
voglio lanciare un urlo
per liberarmi l’anima da tutti questi desideri
che si fanno strada in ammassi di parole confuse e agitate
che non so scrivere…no, ancora non le so scrivere…non ancora.
ma prenderanno forma,
prenderanno forma in una cartolina,
inviata a marameo ad uno spiacevole ricordo.
Roma dove il sorriso arriva con il sorgere del sole.
Dove il sorriso diventa presto allegria.
Dove l’allegria pervade la notte.

mercoledì 28 novembre 2007

Un gioco

Diari d’immaginario

Quella di raccogliere e circondarsi di immagini è una pratica diffusa tra le giovani adolescenti. Costruiscono delle santerie, dove i miti convivono e i desideri si compiono nella contemplazione di figure, che evidentemente corrispondono ad un’idealità poetica. Mischiando consumi culturali, scelte di stile, ricordi (biglietti – frammenti di vita vissuta) tensioni ed emozioni in un universo fatto di carta realizzano se stesse. Frammenti di immaginario, condensati su muri, su fogli di quaderni, di diario, dichiarano il loro ambito di relazione e di condivisione e insieme danno azione a quella particolare attitudine creativa che nell’assemblaggio di materiali produce opere. Un arte povera che sempre è spessa, densa di lingua.
Una lingua che svela.

L’ispirazione, per questi Diari d’immaginario, viene dai diari scolastici, che molto spesso sono ornati da graffiti, segni, disegni e immagini ritagliate. Un lavoro di composizione che scandisce le ore di scuola accompagnando i pensieri fuori dall’aula.

Storie fatte di sguardi, paesaggi di piccole visioni, che scrutano l’ordinario per costruire percorsi altri, d’immaginario che cuce senso e surrealtà.
Il collage una qualità della scrittura che assume la lingua e la fa di sospensioni, di manovre poetiche che si lasciano agli occhi, attraverso immagini che nascondono universi sensibili.
Tutto si elabora nel segreto della visione per manifestarsi opera e progetto.
Il tentativo dei diari è di sollecitare la costruzione di un’opera capace di sintetizzare di pagina in pagina una visione del mondo, una complessità che si manifesta attraverso, la scelta delle immagini, del segno testuale, nel disegno, con la scelta del colore e dei materiali, nella cucitura e l’incollaggio dei soggetti, tutto interagisce, ogni atto è calibrato in funzione di una espressione capace di interiorizzare lo stimolo che una singola immagine può produrre, per contestualizzarlo nella forma grafica attraverso il collage.
Intimo che si svela in un lavoro di costruzione, un percorso che definisce lo stile e la differenza d’ ognuna, lo oggettiva attraverso la cura e la relazione con la pagina.
Voli di senso dove il quotidiano, il tempo da sottrarre al dolore, al pensiero della malattia, trova strumento di sfogo e di sublimazione, diviene segno comunicante, narrazione, astrazione, incanto di mondo che osa rappresentarsi.

[Un album – auto costruito - è la base di questo lavoro, fatto con un cartoncino di media grammatura, abbastanza forte per accogliere incollaggi, strappi, ciappature…
I materiali di composizione sono: immagini, frammenti di scrittura, strappi, pagine di diario. Riviste, quotidiani, cataloghi, libri, fotografie, lettere, volantini, biglietti… le fonti. Strumenti operativi: forbici, colle, filo per cucire, ciappatrici, spilli… e tutto ciò può essere utile ad assemblare le cose scelte sulle pagine.]

domenica 25 novembre 2007

mi è sembrato di sentire dentro una voce

Elisabetta Liguori

TRILOGIA DEL TEMPO INGIUSTO

I

Sono nata quando tutto l’amore

s’era già prosciugato.

Ho preso treni già partiti

allo sfrecciare dei finestrini e al passo offeso del controllore di turno

che rientrava togliendo il berretto dalla sua calvizie.

Ho amato uomini già morti

palpato i loro romanzi pubblicati millenni prima.

e partorito figli molto più vecchi di me.

Ho gridato - e guerra sia! – quando i coscritti con lo zaino in spalla

già tornavano a casa nei loro anfibi.

Ho cenato freddo a cucine serrate e forni spenti

Ho acceso la tivù in appartamenti abusivi già abbattuti.

Per questo, quando hai composto il mio numero e io ho risposto

Pronto.

Sono io.

Io, chi?

Quello.

mi è sembrato di sentire dentro una voce

gli applausi della sera giusto al calar del sole,

ed ho riso.

II

Adesso mi pare più evidente

d’essere arrivata al nostro primo appuntamento

con un vestito troppo elegante.

Tu avevi sul cappotto avanzi di piume

come avessi tenuto a lungo a bada

un piccione ubriaco.

D’essere inopportuna coi miei tacchi a spillo

l’ho capito appena t’ho visto

nascosto a tratti dalle gente,

ma l’estate m’ha spinto a mentire.

- Non c’è assolutamente nulla che io abbia voglia

di fare –

dicevi.

Ed io ho infilato

le scarpe strette nella tua pozzanghera

a inzaccherarti.

Non avrei dovuto togliere le calze a maggio.

Questo è il punto.

III

Questa notte

sono stata al nostro funerale.

Stavamo in due bare lunghe e nere

messe vicine e verticali.

I fiori sul coperchio erano dello stesso colore della tua giacca da camera.

Un colore liso e molto più morbido di quello che dovrebbe avere una buona giacca.

Ma di quale colore fosse davvero la stoffa di qui petali lo sanno solo

i nostri vecchi giorni.

Stavamo nelle bare e pure tra gli scanni,

nella chiesa con le altre sagome

profumate d’olio.

Stavamo miti come cani da salotto,

vicini sempre,

mentre tu mi dicevi:

cara

ma

che bella cerimonia,

così emotivamente trionfante e vaga!

Tanto è lo spazio che riempivano insieme

e l’abitudine ad amarsi,

che quei due

di certo

non lo hanno capito neppure d’essere così morti.

gli applausi della sera giusto al calar del sole,

ed ho riso.

giovedì 22 novembre 2007

Fare silenzio

Fare silenzio quando il cuore è spento
Fare silenzio quando si parla solo per ferire
Fare silenzio piuttosto che pronunciare menzogne
Fare silenzio per ascoltare meglio se stessi e chi ti sta di fronte
Fare silenzio per sopportare meglio il dolore che ti sta sgretolando
Fare silenzio per non disperdersi nel caos dell'assurdità delle relazioni umane
Fare silenzio per annullare la propria presenza

[da anonimo nei commenti]

Adesso tienimi! di Flavia Piccinni (Fazi)

di L.A,
Flavia Piccinni è una giovane scrittrice tarantina agli esordi. Già Premio Campiello Giovani ha pubblicato il suo primo romanzo: "Adesso tienimi ". Una storia che intreccia vita quotidiana e ricordo. Il ricordo di un amore proibito tra una liceale, appena diciottenne, e il suo insegnante di Fisica. Il sentimento tra i due presto diventa complicità, seduzione, passione, fino al tragico epilogo: il suicidio dell'uomo. Da qui ha inizio il tormento della ragazza, che, abbandonata senza un perché, non si rassegna alla perdita, sino alla fine...
Può una giovane alle soglie della maturità fare "esperienza" della morte?
Non esiste nulla di scontato. Lo sa bene Martina.
Pochi mesi sono sufficienti per abbandonari al tormento di un amore svanito senza un perché. Una trappola, un inganno che uccide la ragione o forse no. Forse solo il desiderio di una passione senza limiti, di un pathos 'cavernicolo' e ancestrale.
E tu sprofondi.
Il tuo è un amore violento, servile, segreto, tutto tuo, pienamente tuo. Scandito da un tempo in perenne attesa, da un ritmo vivo di penosi battiti. Assurdo, incomprensibile per chi non ode il sussurro spietato del dolore.
"Prof, non so dirti addio". Provi di tutto: dalle dita in gola alla lametta. Accidenti! Ti manca il fegato: non devi mica raderti!
Iolanda e Giulia sono le tue più care amiche, troppo amiche per te. Iolanda trova rifugio nell'alcol quando Giulia deve lasciare Taranto.I tuoi genitori,invece,restano aggrappati alla facciata della classe medio borghese: "Martina, ma come ti viene in mente di imbarazzarmi così?... Il padre di quello che odi ci sta facendo "nu' sacc" di piaceri e a te "da mo" ti sta pure simpatico".
Le notti insonne, il silenzio serrato, le lacrime, il fumo, intere giornate incollata su eBay, la remissiva presenza davanti a parenti e amici - allora ce la fai aprendere cento? Signorina hai abbassato la cresta?- Che importa! Meglio chiudersi in camera. I ricordi si affacciano quando meno te lo aspetti. Ti svegli la mattina e sei lì, negli incontri clandestini, nel suo letto, a lezione. Ti porta al poligono: è abile e preciso. Il suo odore in te, su di te, è sigillo di garanzia. Illusa: come può essere tuo? Una figlia è cosa seria. Deve pur raggiungere un varco: quale scelta? Un solo colpo.
Quanti appostamenti sotto casa finiti sempre con una sigaretta fumata appoggiata al muro! Quante promesse frantumate dalle minacce! Quante umiliazioni inflitte come un fiume in piena al solo pensiero di una parola di troppo!
Continuavi a tacere con la testa tra le mani, la disperazione assediava ogni particella del tuo corpo. Vi eravate amati. Ma lei doveva sapere. Tu dovevi sapere. Urli tutto il tuo disprezzo, tutto l'odio che ti stava divorando.
é incinta. Torni nella vostra stanza: ricordi ogni cosa. Quel giorno, prima di suicidarsi, aveva lasciato un biglietto nell'armadietto de poligono per la famiglia.
Ora sai come fare: tagli verticali. "Prof, non so dirti addio".

sabato 17 novembre 2007

mercoledì 14 novembre 2007

Rasserenarsi

Ottobre 2008

Sereno è…
un cielo limpido
Serena è…
una notte piena di stelle
Sereno è
il mare azzurro e calmo
Serena è
una brezza marina

Ma nulla è sereno senza il suo contrario.

Si potrebbe forse apprezzare un cielo sereno
se non avessimo conosciuto le nuvole?

E come si potrebbe ammiccare la tranquillità
del mare se le onde non avessero smosso
quell’immensa distesa d’acqua!

Si può forse rasserenare l’anima mia?

Nuvole, vento, pioggia…
sento da lontano ancora il rombo del tuono.

Brividi percorrono il mio corpo fradicio
e… freddo.

No, non mi volto… non ora
è troppo presto!

Percorrerò impaurita l’arcobaleno
e giunta sull’altra sponda
mi volterò indietro…
quando la tempesta non
potrà più farmi male!
E così ammirare il sereno
davanti ai miei occhi.

(Piera)


Rasserenarsi è…

qualcosa che ti addolcisce l’anima
che ti schiude le labbra
con un soffio delicato
è un canto soave
dopo un frastuono assordante
una perdita assoluta di rabbia e orgoglio.

E’ umiltà
che ti culla il cuore in un battito d’ali,
un angelo che ti sfiora
e ti sussurra amore.

E’ un sentimento che provi
dopo tanta sofferenza
è una preghiera che ti consola.

E’ trovare il modo per stare bene,
riuscire a gioire senza muoversi
e riconoscere la felicità.

(Silvia)


Inspiro-espiro, inspiro-espiro
Il sonno profondo
di bimbo
su un morbido
e caldo
cuscino.

Inspiro-espiro, inspiro-espiro
Fiducia, certezza, sostegno
di braccia sicure
che seguono
ogni tuo passo.

Inspiro-espiro, inspiro-espiro
La forza, la luce
di un padre
che accoglie
rischiara
dirada le nubi
e allenta tensioni.

Inspiro-espiro, inspiro-espiro
mi affido
mi fido
e abbandono nell’unico abbraccio
il mio cuore.

(Evelina)

Fantasma!

Dedicato a…

Meno tre, due, un:din-don!
è scoccata la mezzanotte!
Vieni fuori fantasma
Esci dall'ombra,alza la maschera
Oh sì che ci sei
Inciampo ancora nel tuo gioco
Tu vuoi da me cosa?
Ah,questo mai.
Non più
Disprezzo è il colore dei tuoi occhi

(Marilena)

mercoledì 7 novembre 2007

lunedì 5 novembre 2007

Io parlo all’amore. Lo scortico dall’incrosto


La poesia di Mariangela Gualtieri

di Rossano Astremo da http://www.poiein.it



Come non amare la scrittura di Mariangela Gualtieri, la registrazione rapsodica e, a tratti, delirante, della sua emotività tagliente, del suo flusso emotivo corrosivo, della sua coscienza pura, verginale, volta a cogliere le limpide corrispondenze tra l’essenza dei suoi stati d’animo e il mondo che attorno le si agita.

L’ interesse, poi, si accresce se si considera la destinazione teatrale delle sue costruzioni in versi: gli spettacoli del Teatro della Valdoca, fondato dalla stessa Gualtieri, insieme a Cesare Ronconi, nel 1983, sono frutto dell’agitarsi perpetuo della creatività visionaria e dirompente della scrittrice di Cesena, le costruzioni delle scene e le azioni degli attori acquistano sostanza grazie la parola sorgiva e istintiva della stessa.

è uscito, in questo 2003, per Einaudi, una raccolta di versi , Fuoco Centrale ( e altre poesie per il teatro), curata dalla stessa autrice, dalla quale parto per poter cogliere gli elementi di profonda originalità del suo poetare.

Consideriamo questo testo :

Io parlo all’amore. Lo scortico dall’incrosto

nel sogno e ne faccio musica storta

ne faccio delicato vento che solleva o dondola

e impollina al cuore. Alla scomposta

mente, impollina l’occhio con l’occhio

l’occhio con l’animale e viene il bello

che ci sviva, ci sviva tutti. Di più.

Ciò che emerge, nei versi della Gualtieri, è un totale salto in avanti rispetto ad una concezione della poesia ben ordinata nel suo pacchetto metrico e stilistico e un assoluto lasciarsi andare della parola che diviene strumento profondo di analisi, potente meccanismo terapeutico, straziante e sublime terreno sul quale poter spargere i semi dello stato sorgivo del proprio essere:

Io sono spaccata, io sono nel passato prossimo,

io sono sempre cinque minuti fa,

il mio dire è fallimentare,

io non sono mai tutta, mai tutta, io appartengo

all’essere e non lo so dire, non lo so dire,

io appartengo all’essere, all’essere e non lo so dire

Questa analisi senza veli del proprio Io diviene martellante, ossessiva, a tratti nauseante, ma mai stancante, ponendoci di fronte a partiture in versi che raggiungono livelli di lirismo

indiscutibili:

Io non so se l’amore sia una guerra o una

tregua, non so se l’abbandono d’amore

sia una legge che la vita cuce fino al

ricamo finale. Io non so

che farmene di questi amici che premono,

non so che farmene oggi di questo oggi

e me lo ciondolo fra le dita perplesse,

non so parlare quello che

è sentito nel profondo me, non so parlarlo

quell’essere qui presente fra le vite degli

altri.

o ancora:

Io non so se la solitudine, se quello

strazio chiamato solitudine, se quell’andare

via dei corpi cari, se quel restare soli

dei vivi, io non so se quel lamento della

solitudine, se quel portarci via le facce

se quel loro sparire

di facce che avevamo dentro il respiro, non so

se il dono sia questo portarci via le

carezze, questa stacciatura.

è poco il poco che so e di questo

poco io chiedo perdono. Io chiedo

perdono per quello che so, perdono io chiedo

per tutto quello che so.

Quella della Gualtieri è una poesia volta alla continua ricerca interiore, dove i presupposti di un approccio formale al testo vengono sfibrati e allentati per supportare la sensibile logica di una esasperata profondità dell’essere.

In quest’azione viscerale, che sfocia, poi, nella composizione del testo poetico, la Gualtieri è profondamente vicina ad Amelia Rosselli, poetessa dell’anima in fiamme e del cuore in sangue. Infatti, scrive la poetessa di Cesena: «Per devozione, per troppa passione, ho rubato qualcosa ad Amelia Rosselli, me la sono tenuta in braccio, a volte, mentre scrivevo».

L’oltre, il valore aggiunto della scrittura di Mariangela Gualtieri va ricercato nella resa teatrale dei suoi testi. In questo l’armonia d’intenti con Cesare Ronconi è fondamentale.

È come se l’approccio informale della sua scrittura, l’action writing che la sostiene, trovasse la sua compiutezza nella struttura che la regia di Ronconi riesce a dare, rendendo, di conseguenza, il Teatro della Valdoca una delle compagnie più affascinanti e stimolanti presenti nel nostro Paese.

martedì 30 ottobre 2007

Trovare le parole, tra ascolto e scrittura



















di M.M.

Sento che vivere è viaggiare, e viaggiare è crescere. Sento che occorre un mutamento nel paesaggio. Sento che è fondamentale un mutamento nel cuore"
Anna Maria Ortese - Corpo Celeste
Il mio cuore (chiamiamolo così quest’effervescente ascoltare)
Salvatore Toma – Canzoniere della Morte

C’è come uno stato pigro che conferma il se malato, che ferma l’agire, lo incanta in un andare e venire dei pensieri che si fanno mormorio dell’io. L’artista si distacca dall’opera per contemplarla, così per la cura, posso fare di me l’oggetto dell’opera. Chiedere alla terapia di farsi opera è fare della cura un’esperienza creativa, un cammino di maturazione, capace di affinare autostima, capacità relazionale, ma anche vocazioni e attitudini; fortificare il paziente nel suo diventare autore di se, in una acquistata consapevolezza, dentro una possibilità nuova di concepirsi. Tante sono le resistenze, che la proposta di un agire creativo trova da parte del paziente. Sentirsi inadeguato, non all’altezza, scarso, di non valore, o pigro, aver paura di esporsi, vergognarsi, aver timore del contatto… sono spesso segni di una difficoltà di sentirsi creativi, di poter essere soggetti capaci di creare, di oggettivare sé, di andare oltre il sé, di abbandonarsi nell’opera. E allora quali strumenti? La poesia porta mistero e svelamento cuciti insieme, nell’intenzione del dono. E’ carne che osa, scoperta della sua materia sensibile, dicente, significante. Teatro è la poesia: rappresenta e suona nel verso, inaugura senso, sorprende, intona e spiazza, dispone all’ascolto, costruisce immagini e nutre immaginari. L’intento dell’introduzione di pratiche di scrittura nei luoghi di terapia e di cura è quello di sollecitare, o forse meglio, insinuare la possibilità di un incontro con la materia poetica la propria sottesa e mormorante, frustrata e bandita dalla malattia che nega nel suo vortice la possibilità espressiva e quella dei poeti, degli artisti, di chi nel dolore ha saputo trovare la possibile via d’un riscatto espressivo che continua a nutrire nel farsi opera. Scrittura e l’autore sono e e si fanno corpo unico (altro) con cui prender contatto. Stabilire una sintonia, una conoscenza capace di divenire nuova parola, di trasformarsi in atto proprio, in azione. Rinfranca sentire l’opportunità d’un disagio condiviso, di sensibilità capaci di sublimare dolore ed emozione, di scavare nell’inquieto sé. Rinfranca sapere: scoprire biografie e con loro la natura d’un versificare stretto alla vita, scrivente la vita. [Chi è il poeta? Quale vita è la sua, cosa gli è toccato, quale il destino? E, come la scrittura lo ha nutrito, accompagnato, risollevato, consolato o riscattato? E’ utile scrivere?]. Trovando l’altro racchiuso tra pagine di versi, scambiare con l’autore il sentire, l’emozione, ciò che è ispirazione, in-canto, appropriarsene, farsi parlare, quando mancano le parole – o le parole sono nell’incantamento mormorante d’un io chiuso – bloccato nel disagio, nella contemplazione d’un atto incapace di generare.


Appetiti di Caroline Knap




La fame delle donne
di V.D.L.

“Appetiti” è un libro sulle donne, sul meraviglioso e talvolta enigmatico universo femminile del quale l’autrice, Caroline Knap, è un attenta osservatrice. L’autrice riesce infatti a tirar fuori il disagio, l’inquietudine, a sviscerare nelle coscienze di donne che faticano ad abitare nel proprio corpo. La sua, è un indagine socio-culturale ,ma è soprattutto un ‘autobiografia sull’ esperienza di una donna che non si è mai sentita nutrita abbastanza, ha scelto di soffrire la fame per poi “sfamarsi” con i suoi “pasti scheletrici”. E’ un opera nella quale aspetti differenti, quello culturale e sociale, quello strettamente personale e non,quello storico-politico si fondono perfettamente creando un’armonia narrativa che appassiona il lettore. "Appetiti” infatti può diventare una “lettura bulimica” di pagine, frasi, parole, che ogni giorno si divora con trasporto, perché tutte le donne potrebbero e dovrebbero sentirsi più sazie! Ma fino a che punto una donna si concede di essere affamata ,in tutti i sensi della parola? ...E’ proprio questo fondamentale interrogativo, la base, il punto di partenza attraverso il quale la Knap sviluppa la sua analisi, il suo pensiero espresso attraverso un gioco di intrecci su storie di altre donne e di critiche verso un mondo, una società come la nostra che vive di cultura visiva, dove c’è un divario tra la voce del desiderio e quella del divieto. Secondo l’autrice infatti “le donne sono il genere nato e cresciuto con l’idea che l’appetito femminile sia ridotto e limitato”: ogni donna vorrebbe esercitare un livello di controllo su di sé, su come e cosa mangiare,su come apparire, su come vivere; è una battaglia quotidiana contro tante inibizioni che spaventa ,che rende tutte molto insicure. Sazietà, nutrimento, appetito, nozioni che solitamente vengono associate all’immagine del cibo, sono in realtà concetti metaforici ,perché gli appetiti delle donne riguardano “una costellazione più ampia di voglie e di bisogni”. Riguarda l’esigenza di sentirsi accolte nel proprio involucro, il desiderio di trovare una pace fisica e mentale nella ricerca di un equilibrio tra fame fisica e fame emotiva, ma soprattutto riguarda il disperato bisogno di amore, di tenerezza, e della triste consapevolezza circa le proprie fragilità di fronte ad un mare di sopraffazioni e di diveti. “Le donne piangono per i propri bisogni insoddisfatti ,mentre si dedicano a soddisfare quelli degli altri” e la carne si sostituisce alle parole, il corpo alla voce, perché esso spiega l’inesplicabile.
Ecco la ragione che spinge Caroline Knap a mettere in luce anche storie di altre donne che usano il corpo come voce di un ‘intima sofferenza. Si tratta di donne bulimiche spaventate dalla quantità di bisogni di cui necessitano e che si soffocano nel vomito per il disgusto di sè nel tentativo di eliminare quell’oceano di angoscia e sofferenza, donne con una lunga storia di promiscuità di un ossessione sessuale spinte dal bisogno di trovare un identità precisa per la propria vita, donne con un passato di dipendenza dallo shopping,donne ,donne ,e ancora donne ... L’angolazione più affascinante e forse quella maggiormente contraddittoria che spicca per la notevole accezione critica dell’autrice riguarda lo scontro tra cultura e sé, tra debolezza soggettiva e potenza collettiva :lei anoressica spettatrice del movimento femminista. Il momento della “Trasformazione”, esaltato ed elogiato in un primo approccio perché di fatto consegna alle donne diritti e libertà fino a quel momento negate (quella sessuale,individuale...), ma poi attaccato e ridimensionato poiché perde la sua essenza, dando luogo ad una degenerazione. Secondo l’autrice l’attivismo femminista non ha funzionato completamente perché si è scontrato con un passato fatto di tradizioni fortemente radicate nella coscienza di tutti, perché in verità le pulsioni del sesso femminile non sono state considerate, perché di fatto si è assistito ad una mercificazione nel periodo post-rivoluzionario. “Il mondo è ancora ambivalente sul potere femminile perché in realtà esso si mobilita tutt’ora al servizio dell’appetito maschile”: le donne esistono per il loro piacere! Questa vena pessimistica ma lucida pervade l’emozionante e travolgente libro di Karoline Knap, che fa della sua opera una ricerca autentica e veritiera del misterioso mondo femminile, fatto di inquietudini, sofferenze, disagi, inadeguatezze, insufficienze, mancanze, ma anche di rivincite, di rivalse, di speranze, stessi sentimenti questi, che spingono l’autrice a percorrere un cammino che la condurrà verso la lunga strada della guarigione. Tutto ciò costituisce l’essenza degli appetiti femminili, "il cuore della fame delle donne”.

venerdì 26 ottobre 2007

Storia di Noemi

La mia fiaba!
Quella che vi sto per raccontare è una bella fiaba, reale in ogni suo particolare tranne che nel nome della protagonista.

C’ero una volta…
Mi chiamo Noemi e sono una ragazza di ventisei anni. Sono nata in un piccolo paese in provincia di Lecce, in una famiglia apparentemente normale. Sono stata una bambina serena, forse un po’ troppo sensibile, una bambina paurosa, ma non timida. Mia madre e mio padre lavoravano ed io trascorrevo gran parte del tempo con le mie nonne - soprattutto quella materna - una zia e una prozia…la classica famiglia meridionale! Non ho avuto un’infanzia traumatica, almeno credo…Forse, a pensarci bene, tutta la mia vita non è poi peggiore di quella di tante altre. Mi ritengo una persona tranquilla, ho sempre fatto tutto il possibile per accontentare i mie genitori, per essere la figlia perfetta, la nipote perfetta, l’amica perfetta, l’alunna perfetta. Poiché nessuno è perfetto, circa dieci anni fa o forse anche più ho deciso di diventare Nessuno. A dodici anni ho cercato di ribellarmi a determinati schemi, che dovevo seguire e che non sentivo miei, ma allora e forse neanche adesso ho la possibilità di scegliere da me. Devo solo fare quello che gli altri mi dicono, anche in silenzio…un silenzio che a volte è più autoritario di qualsiasi altra parola. Come se non bastasse, fisicamente non mi piacevo, mi vedevo sempre più grossa rispetto alle mie amiche e così ho pensato bene di fare una dieta. A quindici anni iniziai la famosa “dieta del minestrone”, che nel giro di una settimana è riuscita a farmi perdere ben cinque chili, recuperati con gli interessi la settimana successiva! Da allora il mio corpo ho assaggiato la dieta del momento…l’ultima ritrovata pubblicitaria. Ero molto attenta a mascherare ad ogni persona e principalmente a me stessa che il cibo ed il mio corpo stavano per diventare un’ossessione. Quando misi un po’ di soldi da parte mi recavo in farmacia ed acquistavo (ovviamente per una mia amica) pillole e beveroni dimagranti. Non vedevo alcun risultato, ma continuavo a prenderli e sempre in dosi maggiori. Mi sentivo bene, credevo di essere cresciuta, di far parte del mondo degli adulti. Una volta dimagrita, potevo essere anch’io oggetto del desiderio dei ragazzi e come se non bastasse avrei avuto un doppio vantaggio: diventare perfetta! Ma perché non dimagrivo mai abbastanza? Ero sempre grossa…le pillole non funzionavano più da sole, dovevo aumentare l’attività fisica. Ho sempre amato lo sport, ma il movimento che facevo non bastava più. Necessitava di un potenziamento e di un aumento della frequenza. No! ero ancora troppo grossa… Sono diventata vegetariana, la pasta non la digerivo, mangiavo e poi sputavo nei tovaglioli di carta... Ma ancora tutto questo non bastava. E allora mangiavo sale per poter vomitare. Passano gli anni. L’attenzione per il cibo si trasforma in ossessione… io non volevo vedere. Le relazioni interpersonali cambiano. Ero una ragazza socievole, amavo stare in compagnia… Divento una ragazza facilmente irritabile, attenta alle calorie, alla forma fisica, che ama la solitudine. Non ho rispetto degli altri, non riesco ad avere un confronto senza che esso sfoci in un litigio e una successiva chiusura. E poi inizio a mentire anche a me stessa! Quando qualcuno cerca di giustificarmi, i sensi di colpa mi assalgono e le abbuffate crescono sempre di più. E’ difficile parlare delle mie relazioni, ho fatto male a tutti e molti mi hanno fatto male. Non so se perché loro non capivano me o se io non riuscivo a spiegarmi. Molto spesso ho rinunciato a lottare, ho percepito che i miei genitori volevano sempre che io restassi bambina e quando mi comportavo da persona adulta c’era sempre qualcosa che non andava. Non avevo previsto un dettaglio, non avevo chiesto il loro consiglio. Volevo farcela da sola! Ma se provo a diventare autonoma i silenzi dominano in casa. Come se non bastasse loro dicono che mi hanno lasciata sempre libera di scegliere ma…in modo subliminale governavano e governano la mia volontà. Per renderli felici e avvicinarmi sempre più al mio ideale di perfezione, annullo la mia volontà. Soffro troppo nel sopprimerla ogni volta…sto male. E così ho pensato bene di non sentirla più, le tolgo la voce…non riesco ad ucciderla, non riesco a sostituirla con quella degli altri. Anche muta lei parla, le parole afone mi feriscono, si ribellano ed io le ignoro puntualmente. Ora non la riconosco più, non so se la voce che sento è la mia o quella degli altri. Dentro di me c’è solo caos, vuoto, voragine, guerra. Riesco a fidanzarmi – una storia che dura ben cinque anni - ovviamente con un ragazzo che piace ai miei o così credevo! Non è mio amico, non gli vado bene, non gli piaccio così come sono. Cercavo in lui una valvola di sfogo. Credo che con i genitori un rapporto conflittuale sia anche “normale”, ma con il proprio ragazzo no. Mi chiude in casa è ossessivo e possessivo. Sto male, i miei non vedono e mi colpevolizzano, anche perché io sono muta, non parlo e poi so fingere bene: sono libertina dicono e lui fa questo per il mio bene. Faccio una cosa che non credevo sarei stata in grado di fare: tradisco il mio ragazzo. Quanti sensi di colpa. Io che sono sempre cresciuta secondo una morale cattolica, mi ritrovo a fare cose assurde. Mi vergogno tantissimo. Ho due vite: una apparentemente normale, l’altra peccaminosa e contraria ad ogni morale. Non riesco a guardare negli occhi i miei genitori, continuo a frequentare la chiesa e i sensi di colpa aumentano. Prendo in giro tutti. Non posso lasciare il mio ragazzo, lui mi ama, anche se mi chiude in casa, se mi offende, se mi dice che mi ha pagata troppo perché sono una puttana. Io l’ho tradito…non ho avuto il coraggio di lasciarlo né di dirgli la verità e poi per chi? Nessuna relazione seria, sono andata a letto anche con persone che non conoscevo…forse sono diventata quella che lui mi diceva di essere. In più dovevo andare a letto con lui, anche quando non volevo, perché dovevo dimostrare che l’amavo. Io molte volte non volevo, ma dovevo…mi facevo sempre più schifo! Mi faccio schifo, sono una spazzatura. L’unica cosa che posso fare è andare via da casa. Mi trasferisco a Torino, io volevo andare in un’altra città ma il mio ragazzo mi obbliga a stare con lui, a convivere. So che i miei, da buoni cattolici, non sono favorevoli alla convivenza. Ma sono in grado di decidere da sola? Sono adulta, non sono più una bambina. Non voglio vivere con lui, non voglio stare con i miei. Cosa voglio fare?…non lo so! Come è possibile? Decido di vivere con lui. Un anno e mezzo di prigionia e di bugie, anche di tradimenti. A Torino sono sola, posso abbuffarmi con più facilità e poi lì scopro i lassativi. Novanta al giorno sono sufficienti. Il dolore provato lo meritavo tutto…così mi sentivo svuotata completamente. Vomito, lassativi, attività fisica, digiuni, abbuffate, pillole dimagranti, diuretici, cibo mangiato dalla spazzatura: la mia giusta punizione! Dovevo stare male. Da questo momento in poi il buio mi avvolge, tutto va in rovina. Mi convinco sempre di più che la mia vita ormai è finita: sono stata condannata a stare seduta su di una poltrona di ferro e vedere la mia vita. Sono un vegetale che aspetta di morire…ho tanta voglia di vivere che desidero morire per non vedere la mia vita vissuta senza un’anima. Ma non ho nemmeno il coraggio di farla finita. E allora vivo l’inferno! Non posso più innamorarmi, non lo merito, non sono degna di stare con i miei, la vergogna, i sensi di colpa sono insopportabili…e poi è anche colpa loro. Si, sono incazzata con loro, non mi capiscono…non riescono ad accettare un diverso modo di pensare. Per loro la felicità non esiste, c’è solo il sacrificio, il non godere. Anche la tavola diventa un dovere, una cosa fatta in fretta, dove l’indifferenza è il piatto forte. Voglio scappare, ma non ho un lavoro e non so dove andare. Nessun luogo mi mette al sicuro da me stessa. Sono vittima e carnefice; mi consumo in un sadomasochismo che mira ad annichilirmi. Non riesco a diventare Nessuno. Voglio scomparire, ma sono condannata…più mi consumo più devo mangiarmi per potermi consumare, ma non finisco mai! Poi… Poi dentro di me uno spiraglio di normalità riaffiora e, come in un sogno, mi fa assaporare il dolce sapore della me che non è morta, ma solo imprigionata. Ho un bavaglio, per questo non riesco a sentirmi; mi faccio pena e nello stesso tempo mi torturo. Come in tutte le fiabe che si rispettino incontro il mio principe azzurro, ma non può liberare la principessa rinchiusa nella torre! Solo io lo posso fare. Mi vergogno a stare con lui, come faccio a regalargli una me che è un mostro. Un brivido caldo, una voce forse flebile eppur percepibile dice che il mio cuore batte ancora e che ce la posso fare, posso guarire. Una telefonata … apro gli occhi: quello che ancora avevo ignorato è che sono malata. Non posso farcela da sola, ho bisogno di cure, di persone esperte e competenti. Fortunatamente qui a Lecce è attivo un centro di cura per i disturbi dell’alimentazione. Ora so che - dopo una breve fase anoressica - sono affetta di bulimia nervosa. Il percorso è molto faticoso, la malattia ha compromesso la mia volontà, mi sta divorando. La bacchetta magica… La cosa bella è che esiste una cura… sembra strano, un sogno! A volte la realtà riserva sorprese così banali, per questo non cercate, ma essenziali…gocce di vita. Dopo alcuni mesi di attesa, si aprono le porte del centro: fate in vesti di streghe, torri con altre principesse imprigionate come me…ho paura ma non sono sola! Ogni cosa che tocco si trasforma in cibo che minaccioso è lì, per esser ingerito e trasformarsi in cumuli di grasso, che copriranno questo donna morta in marcia. Poi le fate si spogliano dei loro abiti grotteschi e il cibo da anima al mio corpo inerme. Sa di buono! ogni alimento ha un gusto nuovo…ho fame. Sì! le persone sane hanno fame e non devono sentirsi in colpa per questo. Avere fame non è sinonimo di “ciccione”…è normale! Molti traumi, molte separazioni violente hanno segnato la mia vita. Non le voglio raccontare. Ho paura che possano ancora farmi male. Non avverrà il miracolo, il passato non lo dimenticherò, i suoi segni resteranno indelebili nella mia anima, ma avrò nuovamente un’anima…che bello! Le persone accanto a me non cambieranno, gioie e dolori si alterneranno, non vivrò felice e contenta… Vivrò... Vivrò e godrò ogni attimo del presente, vivrò e non abbandonerò più la mia vita!

non c'e gioia più grande nel ricordare un dolore oramai passato

questa vita che con i suoi ritmi ci ha portato via tutto o forse niente,
questa gente che con i suoi sorrisi e schemi
ci ha tolto tutto o forse niente,
questo mondo perfetto che ci fa sentire tutto e niente,
questa mente....cosi segnata,
ci fa vedere tutto ma "quasi sempre niente".

e non troviamo via d'uscita, allora ci adagiamo nel dolore e nella commiserazione,
perchè in fondo iniziamo ad amare quegli sguardi di pietà e compassione... ma chiedetevi se è questa la via che volete passare: dietro le quinte, sempre in punta di piedi, pronte a chiudervi in voi stesse e rimproverarvi ogni gesto d'amore e di vita.

anche io sono stato uno di voi... e so bene quanto l'esperienza della malattia e ancor peggio della cura, possa essere terribile,ma in fondo "non c'e gioia più grande nel ricordare un dolore oramai passato".

non impegnatevi a cambiare il mondo la fuori, perchè come ogni sistema, farà di tutto per conservare il suo equilibrio perfetto, e voi vi sentirete sempre tagliati fuori con la vostra imperfezione...ma scoprirete col tempo il piacere nel non sentirvi partecipi, ve lo garantisco!
piuttosto, trovate in questo duro cammino " la via per uscire dal buio" e costruite in voi,non quel muro che vi separerà sempre dal mondo, ma quel "nuovo io" che e' pronto a gridare al mondo che c'è, che esiste... e che vuole vivere realmente e intensamente quanto c'é la fuori bello o brutto che sia, purché sia vero, autentico.

credere in noi, e' questo il primo-difficile passo che siamo chiamati a fare...
"e in fondo ad amare noi stessi siamo sempre stati abituati"...perché smettere, perché proprio ora! :-d

pdl87

17 ottobre 2007 16.25

mercoledì 17 ottobre 2007

Tina Modotti ritratta da Edward Weston






















Bibliografia

Elena Poniatowska, Tinissima, Frassinelli, Milano 1996

Letizia Argentieri, Tina Modotti, tra arte e rivoluzione, Franco Angeli, Milano 2005

Pino Cacucci, Tina, Feltrinelli, Milano 2005

Nolita? No anorexia?

Meglio dialogo, comprensione, ascolto!
di L. A.

Oliviero Toscani espone le sue modelle sofferenti, sulle mura del Castello Carlo V°, non presente alla innaugurazione della mostra domenica “Intramoenia extrart. Il gran tour della meraviglia” (!?) si fa sentire come una telefonata! C’è chi può!
Noi riceviamo dall’interno del Centro per la Cura e la Ricerca sui Distrubi del Comportamento Alementare, un intervento sulla campagna Nolita/No aronexia.
Il Centro della Asl di Lecce ha attivato in rete un blog: http:lemanisorelle.blogspot.com aperto a contributi e commenti.


Un tempo l’uomo era impegnato nella lotta per l’affermazione di sé, per divenire cioè principio costituente della realtà contro la visione teologica dominante. Oggi tale supremazia è in mano al reale e all’uomo non resta che la condizione di sudditanza.
Dietro questa oggetivazione degli individui non c’è alcun complotto. Non esiste un Grande Fratello orwelliano. Sono i nostri discorsi ad instillarsi radicalmente nel tessuto sociale, creando uno spartiacque fra ciò che si può dire e non dire, fra ciò che si può fare e non fare. Ma sulla scacchiera delle cosiddette “procedure discorsive” domina il re: è il potere. Potere che scava come una “talpa cieca”, invisibile, insondabile, ma onnipresente.
Sapere e potere , dunque, foucaultianamente intesi, costituiscono un “dispositivo” capace di determinare il nostro modo di intendere e interpretare il mondo reale.
Nella contemporaneità il dispositivo sociale prevalente è il marketing: la “nuova” scienza economica che struttura il reale secondo proprie prerogative. Agisce in base ad una sola logica, quella del profitto. Il suo obiettivo? Arrivare a determinare bisogni sempre nuovi e crescenti dal momento che c’è una scadenza da rispettare: il fatturato. Come entra nella nostra vita? Certamente non in punta di piedi. Non bussa alla porta del nostro magazzino di sapere. Piomba in modo dirompente imponendoci i suoi significati. Significati che vanno a stratificarsi attraverso gli oggetti di consumo, i quali diventano i “discorsi” del marketing. Siamo liberi di acquistare o meno questo o quel marchio, ciò nonostante il marketing avrà ugualmente raggiunto la propria finalità: entrare nella nostra mente, modificando il nostro stile di vita.
É quanto si è verificato con l’ennesima campagna pubblicitaria di Oliviero Toscani per conto di Nolita, fashion brand del gruppo padovano Flash&Partners. Un’ex modella francese- appena 31 Kg- espone il suo corpo nudo, emaciato, consumato dall’anoressia. Si parla di campagna shock. Lo è. Si parla di provocazione. Lo è. Si pala di strumento di sensibilizzazione ai mali sociali. Forse lo è un pò meno.
In fin dei conti, insabbiato quel polverone di disapprovazione, acclamazione, scandalo o consenso, a Toscani non resta che l’ennesima “corona d’alloro” di cui furono cinti pochi geni e d’altri tempi. La differenza? La sua collezione non è arrivata post- mortem!
A guadagnarci veramente non è quella giovane scheletrica aggrappata ai manifesti delle più note città italiane, ma Nolita, che ergendosi a “specialista” delle malattie psichiatriche, ha esogitato un “rimedio” per i problemi legati al cibo: “perché non mettere questo universo giovanile, così ribelle, complicato, insensato, di fronte alla nuda e cruda verità? Mostriamo come si riduce un corpo vessato nella carne, nell’intimità, nello spirito! Tutti, però, devono sapere che a porre in guardia sono io, Nolita!”. Nulla in contrario. Tuttavia vien da chiedersi se quel manifesto“No Anorexia” sia davvero un monito per le schiere di fanciulle disposte a qualsiasi sacrificio in nome della bellezza, della perfezione, del successo “facile”; mentre continuano a “sopravvivere”, all’ombra dei cipressi, le associazioni, le strutture ospedaliere che lottano ogni giorno con una burocrazia lenta e spesso sorda alle insistenti richieste di risorse e personale specializzato. Sì, perché c’è da sottolineare che si possono contare sulle dita delle mani le organizzazioni di tipo pubblico impegnate nella ricerca e nella cura delle patologie legate all’alimentazione. Continuano a lavorare dietro le quinte nonostante il palcoscenico resti un’esclusiva della spettacolarizzazione, dei colpi di scena.
Coniugare il prodotto, il marketing e i problemi sociali è veramente la sola freccia in grado di centrare il bersaglio, in grado di “costringere” la società civile a superare il mito della magrezza?
Dialogo, comprensione, ascolto sono le prime armi contro la quotidiana indifferenza, piccole rose nel deserto contro l’inaridimento dell’animo.

lunedì 15 ottobre 2007

Un appello di Voce di Donna

Care Amiche, cari Amici,
sono Carla Grementieri, presidente di voceDonna, associazione di Castrocaro Terme e Terra del Sole (Forlì-Cesena), membro del Tavolo Permanente delle Associazioni contro la Violenza delle Donne di Forlì.
Vorrei portarvi a conoscenza di un fatto molto eclatante che sta avvenendo in questi giorni nella nostra bella Romagna e che lede la dignità delle donne.
Cerco di essere chiara e sintetica nel riassumere la spinosa faccenda.
Come saprete, Domenica 21 ottobre, nelle tre province romagnole (RA-RM-FC) si svolgerà l’Open Day delle biblioteche e dei musei a cui tra l’altrovoce Donna ha aderito con un “intrattenimento” nella biblioteca di Castrocaro e fin qui tutto regolare. Le tre province, come già è avvenuto per gli scorsi anni, pubblicano un corposo depliant unico che illustra le aperture domenicali, con relativi eventi culturali, di tutte le biblioteche che hanno aderito all’iniziativa. Ogni provincia sceglie anche un testimonial che appare sul depliant con uno slogan. Rimini ha scelto Martina Colombari, Forlì-Cesena il motociclista Melandri e Ravenna il comico Cevoli.
Di quest’ ultimo la provincia di Ravenna ha deciso di pubblicare questa frase per invitare alla lettura: “Un buon libro è la compagnia più intelligente che un uomo possa trovare. Ogni tanto però ci vuole anche un po’ di solitudine con qualche passerina ignorante.”
L’artefice di tale pensata è l’Assessore provinciale alla Cultura di Ravenna Massimo Ricci Maccarini.
La stampa riferisce che i due colleghi Assessori di Forlì-Cesena (Iglis Bellavista) e di Rimini (Marcella Bondoni) si sono dissociati nettamente dal collega di Ravenna e hanno chiesto il ritiro dei depliant. La Bodoni ha affermato,tra l’altro, riferendosi a Ricci Maccarini: “Ha inserito quella frase volgare nella comunicazione istituzionale senza informarci. Linguaggio indecoroso, indegno di una istituzione. Ho chiesto di ritirare quei depliant dalle nostre biblioteche e musei. Non è così che si avvicinano i giovani alla cultura. Rimini non pagherà a Ravenna , che la coordina come Polo romagnolo, la quota della promozione culturale.”
I giornali riportano che Massimo Ricci Maccarini, uomo che rappresenta la Cultura in tutta la provincia di Ravenna, abbia replicato: “Che c’è di male?”
Ho svolto una piccola indagine nella biblioteca di Castrocaro. La bibliotecaria mi ha spiegato che all’ inizio della settimana scorsa ha ricevuto una telefonata dalla provincia di Forlì-Cesena in cui si chiedeva di non distribuire i depliant al pubblico.
Care amiche, vi invito a verificare se questi depliant vengono distribuiti a Forlì-Cesena e a Rimini mentre certamente saranno distribuiti a Ravenna…
Care amiche, cari amici non possiamo più tacere su fatti del genere, fatti che vedono le donne, tutti i giorni vittime della violenza degli uomini, in questo caso vittime di un Assessore che dovrebbe rappresentare alla stessa maniera uomini e donne.
voceDonna ha inviato la lettera di protesta ai Presidenti e a tutti gli Assessori delle Province di Ravenna, Rimini, Forlì-Cesena e ai quotidiani locali.
voceDonna ha pubblicato questa mail nel proprio sito, assieme alla lettera di protesta inviata . www.vocedonna.it (iniziative)
voceDonna ha inviato questa mail a circa mille indirizzi distribuiti in tutt’ Italia e anche all’estero.
voceDonna invita a diffondere questa mail tra amici , conoscenti e ai giornali.
voceDonna invita tutte le associazioni e le singole persone (donne e uomini) ad inviare una mail di protesta (segue indirezzi e testo)e/ o a telefonare e mandare fax alla Provincia di Ravenna (seguono numeri).

Grazie per la vs. attenzione e un caro saluto a tutte/i voi da voceDonna

(nei commenti potete trovare gli indirizzi e il testo dell'appello da inviare!)

sabato 13 ottobre 2007

Foglia appena nata, è il mio cuore!

da Costatino Kavafis di Manila


Un occhio di stelle
ci spia da quello stagno.

E m'oscuro nel mio nido.

Chiudiamo gli occhi
per vedere nuotare in un lago
infinite promesse.

Ci rinveniamo a mancare la terra
con questo corpo
che ora troppo ci pesa.

Ma ben sola e ben nuda
senza miraggio
porto la mia anima.

Mondo.
Fratelli.

Foglia appena nata
è il mio cuore, il paese più straziato.

Probabilmente non sei più chi sei stata

da Rabindranath Tagore di Alessandra

In questa notte in cui tutto trabocca ignoro.
Un moto senza posa ci sospinge.
Il corso del tempo non è che un passo minimo nel cerchio del perenne
solo ciò che persiste ci inizia all'essere.

Senti come lo spazio cresce ad ogni tuo respiro,
di te che non sei più forma ma essenza.

Ciò che ti consuma diverrà forza grazie a questo cibo.
Tu entra ed esci dalla metamorfosi in questa notte in cui tutto trabocca,
sii magica virtù all'incrocio dei tuoi sensi
dei loro strani incontri sii tu il senso.

Probabilmente non sei più chi sei stata.
Ed è giusto che sia così.

Non apparirai più per dare un senso al nulla e non ti chiederai,
imprigionata tra le bende e i gessi se fu inganno, fu scelta, fu comunicazione.

Tu sola sapevi che il moto non è diverso dalla stasi, che il vuoto è il pieno,
e il sereno è la più diffusa delle nubi.

Quello che mi diceva mia madre, non può certo essere vero!

da Pablo Neruda / di Nadia

Quello che mi diceva mia madre
non può certo essere vero.

Diceva: una volta macchiata tu non diventi più pura.

Per la tela non lo puoi dire,
neppure per me tu puoi dirlo.
Poiché quando il primo mi strinse tra le braccia,
e io strinsi lui sentì dal grembo e dal petto sfuggire i cattivi impulsi.
Così va per la tela.
Ma quando vennero altri tipi cominciò un' annata trista
Mi davano nomi cattivi e divenni una cosa cattiva.

Con il risparmio e con il digiuno non c'è donna che si ristabilisca.
Se nel cassone la tela giace a lungo
Nel cassone poi diventa grigia.

E di nuovo venne un altro,
in un'altra annata.
Vidi, quando tutto fu diverso,
che anche io ero cambiata.
Immergila nel fiume e agitala.
C'è sole.
Come prima diventa nuova.

Lo so: tante cose possono capitare
Finchè non ti capita più nulla.
Solo la tela mai indossata
È stata una cosa sprecata.
Se si è fatta tutta lacera
Più nessun fiume la rende pura.
La sciacqua, la riduce a stracci.

Nel sole rosso sulle pietre amo le chitarre
Sono interiora di bestie, la chitarra canta bestialmente,
divora piccole canzoni.
L'essere che io porto capita in un mondo perverso
quando gli errori sono esauriti siete come ultimo compagno
di fronte a noi il nulla
per quante volte tu guardi il fiume non vedi mai la stessa acqua.

Non guardar fissa l'onda che si frange al tuo piede
fino a quando sari immerso nell'acqua verranno
io che nulla più amo dello scontento per le cose mutabili.
Così nulla odio più nel profondo scontento
per le cose che non posso cambiare.

giovedì 11 ottobre 2007

Di luce, di amore e di vero...

Caro mauro,
rimaneggiando come da te suggerito la parole "afferrate" e scritte d'impulso
durante la lettura delle poesie della Aquaro mi è venuta fuori questa.
Avevo pensato di metterla tipo commento alla pagina di oggi del blog,
che apre proprio con quelle poesie.
Poi ho pensato che potrebbe essere un'idea
quella di aprire una specie di "spazio" dedicato proprio a questo lavoro:
pubblicare il testo originale della poesia e poi,
magari di seguito,
gli scritti frutto di questo rimaneggiamento dei frammenti afferrati al volo,
magari spiegando la cosa.. che dici? pensiamoci...
un abbraccio,
a presto
E.na


Di urlo agghiacciante
è l'urgenza
di un occhio spietato.
Libera, libera, libera
gli occhi
da ciglia incollate
di sangue!
Libera, libera, libera
le mie notti
da lune grondanti
di rosso!
Di verde
le voglio vestire.
Di luce, di amore e di vero,
che pieghi
che curvi
che spezzi
le sbarre di ogni menzogna.

E se non avessi memoria? / Se questo miscuglio di croci e voci...


Ieri il laboratorio di scrittura è stato dedicato alla lettura
delle poesie di Comasia Aquaro,
poetessa di Martina Franca.
Vi proponiamo alcuni suoi versi.
dal suo I fiori nei cantieri, 2007 Campanotto





... e non avevo che questa

umana bilancia
del sentire
che della mia imperfezione
facevo metro d'umanità
e amavo più forte che potevo

H
o i pugni al sole
e nel volto una folla
si scuce il viso
e si ricuce il cuore
poca luce respiro
e sono folle.
Mi sboccia un ombra sulle labbra
ed ogni sillaba è pietra d'ambra
che sfilo dagli occhi
abracadabra
che mi serra le palpebre
e m'incolla le ciglia
di terra e di pianto
di miseria collettiva
che grido e grido
fino a farmi sangue
senz' ossa e carne
e scorro tra lune rosse
fino a farmi immune
da questa vita di carne.

***

Non mi adeguerò mai a nulla
sono d'altri pianeti i poeti
se toccano terra
è solo per l'erba
per quant'è bella verde
aspra di luce.
Ho nel cuore
quel che non si può dire.
Vietato essere
in quest'universo
veri.
Allora siano chiuse le mie porte
ed entri solo Poesia
che sola passa
come lana di nuvole
dalle sbarre.
E filo... filo...
come questo fuso d'inchiostro.

***

Questa corsa da me
mi sfianca
mi stanca restando
e non so più davvero
se sono me
o altri
e mi sveglio spossata
spaesata di me.

***

L'animo sgombro
è una casa piena d' echi
anche se aperta
nessuno può rubarti nulla
nessuno può prendere il tuo nulla

o acchiappare un ombra coi tacchi.

Solo il vento può dire
e l'animo rispondere.