mercoledì 3 ottobre 2007

"Voglio uscire da questa stanza. Voglio uscire da me."

Sempre in me
di E.
La stanza era buia.
Non completamente, ma poco illuminata,
come quelle stanze di quelle vecchie case che non hanno finestre,
ma magari solo un finestrino, lassù in alto,
da cui prendere un po’ di aria e un po’ di luce.

La stanza ha pareti alte, soffitto alto, muri di un bianco ingiallito dal tempo.
Pareti nude, squadrate.
Direi quasi “scivolose” perché non c’è niente che possa consentirti di arrampicarti:
non un buco, una rientranza nel muro dove mettere un piede.
Non una sporgenza cui potersi aggrappare con la mano e tirarsi su.
Pareti lisce. Pareti implacabili.

L’atmosfera è pesante, è cupa.
Si respira tristezza, si respira angoscia. C’è aria di prigione.
La stanza è vuota. C’è solo un tavolino, come un piccolo scrittoio.
Di legno, semplice, essenziale.
Che strano, non c’è neanche una sedia.
Che ci fa un tavolino, uno scrittoio dove scrivere senza una sedia per sedersi?
E che ci faccio io in questa stanza, sola con un tavolino senza sedia,
con un finestrino senza aria, tra pareti senza appigli per arrampicarsi?
Guardo bene, mi guardo intorno.
Il pavimento è di piastrelle grandi di marmo chiaro,
è proprio una casa “vecchia”, forse una casa della mia infanzia.

Mi sa tutto di vecchio in questa stanza, anche l’odore.
C’è umido, c’è chiuso, c’è tanfo.
Vedo una porta su una parete.
Non è centrale, è quasi ad angolo, un po’ nascosta.
E’ una porta di legno, color legno. Legno caldo.
Che strano, mi sarei aspettata una porta bianca in questa stanza.
Una di quelle porte strette e lunghe.
Quelle belle porte laccate di bianco a due ante delle nostre case di un tempo.
Quelle porte che quasi si mimetizzano con la parete.
E invece no. Questa porta è scura ma non troppo, è un bel legno bruno.
Un colore che sa di forte, che sa di caldo, che sa di solido.
La porta non è alta e stretta, ma semmai è un po’ più bassa della norma.
E’ una bella porta comunque, proporzionata.
Abbastanza larga. Sembra comoda da passarci.
Eppure c’è qualcosa che non quadra, ma non capisco cosa.
Poi capisco. In questa bella porta, calda, forte e sicura, non c’è la maniglia.
Mi viene l’ansia, mi sale l’angoscia.
Non voglio restare prigioniera in questa stanza!
Mi calmo, respiro profondamente, respiro “lungo”.
Se sono qui vuol dire che ci sono entrata.
Vuol dire che da questa porta ci sono passata.
Non so come ho fatto. Forse c’era la maniglia solo fuori?
Non lo so. So che da questa stanza se sono entrata posso anche uscire.
So che c’è un passaggio, so che c’è una porta.
La vedo, anche se non vedo la maniglia.
Ma se ci sono entrata di sicuro ne posso uscire.
E’ solo questione di direzione.

Sono sola in questa stanza,
ma non posso credere che fuori non c’è nessuno.
E allora so cosa fare.
Mi metto dietro la porta e busso.
Busso ancora. Busso forte. E chiamo. E urlo. E chiedo aiuto.
Perché voglio uscire adesso.
Voglio uscire da questa stanza.
Voglio uscire da me.
Prima o poi qualcuno passerà.

1 commento:

Anonimo ha detto...

io, io
sempre io
a fare mormorio
...