di M.M.
“Sento che vivere è viaggiare, e viaggiare è crescere. Sento che occorre un mutamento nel paesaggio. Sento che è fondamentale un mutamento nel cuore"
Anna Maria Ortese - Corpo Celeste
“Il mio cuore (chiamiamolo così quest’effervescente ascoltare) ” Salvatore Toma – Canzoniere della Morte
C’è come uno stato pigro che conferma il se malato, che ferma l’agire, lo incanta in un andare e venire dei pensieri che si fanno mormorio dell’io. L’artista si distacca dall’opera per contemplarla, così per la cura, posso fare di me l’oggetto dell’opera. Chiedere alla terapia di farsi opera è fare della cura un’esperienza creativa, un cammino di maturazione, capace di affinare autostima, capacità relazionale, ma anche vocazioni e attitudini; fortificare il paziente nel suo diventare autore di se, in una acquistata consapevolezza, dentro una possibilità nuova di concepirsi. Tante sono le resistenze, che la proposta di un agire creativo trova da parte del paziente. Sentirsi inadeguato, non all’altezza, scarso, di non valore, o pigro, aver paura di esporsi, vergognarsi, aver timore del contatto… sono spesso segni di una difficoltà di sentirsi creativi, di poter essere soggetti capaci di creare, di oggettivare sé, di andare oltre il sé, di abbandonarsi nell’opera. E allora quali strumenti? La poesia porta mistero e svelamento cuciti insieme, nell’intenzione del dono. E’ carne che osa, scoperta della sua materia sensibile, dicente, significante. Teatro è la poesia: rappresenta e suona nel verso, inaugura senso, sorprende, intona e spiazza, dispone all’ascolto, costruisce immagini e nutre immaginari. L’intento dell’introduzione di pratiche di scrittura nei luoghi di terapia e di cura è quello di sollecitare, o forse meglio, insinuare la possibilità di un incontro con la materia poetica la propria sottesa e mormorante, frustrata e bandita dalla malattia che nega nel suo vortice la possibilità espressiva e quella dei poeti, degli artisti, di chi nel dolore ha saputo trovare la possibile via d’un riscatto espressivo che continua a nutrire nel farsi opera. Scrittura e l’autore sono e e si fanno corpo unico (altro) con cui prender contatto. Stabilire una sintonia, una conoscenza capace di divenire nuova parola, di trasformarsi in atto proprio, in azione. Rinfranca sentire l’opportunità d’un disagio condiviso, di sensibilità capaci di sublimare dolore ed emozione, di scavare nell’inquieto sé. Rinfranca sapere: scoprire biografie e con loro la natura d’un versificare stretto alla vita, scrivente la vita. [Chi è il poeta? Quale vita è la sua, cosa gli è toccato, quale il destino? E, come la scrittura lo ha nutrito, accompagnato, risollevato, consolato o riscattato? E’ utile scrivere?]. Trovando l’altro racchiuso tra pagine di versi, scambiare con l’autore il sentire, l’emozione, ciò che è ispirazione, in-canto, appropriarsene, farsi parlare, quando mancano le parole – o le parole sono nell’incantamento mormorante d’un io chiuso – bloccato nel disagio, nella contemplazione d’un atto incapace di generare.
2 commenti:
un mutamento nel cuore..quello che srvirebbe a me!
madame tristesse
moicontremoi.blogspot.com
Complimenti per questo blog culturale/terapeutico, spero abbia molto successo, un bacio e buon lavoro
Trixy
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